martedì 29 marzo 2016

La Stampa 29.3.16
Quella mafia che resiste alla scomunica del Papa
di Francesco La Licata

Per una considerevole fetta di popolazione del nostro Meridione la devozione verso il boss di turno vale più delle stesse parole della Chiesa ed anche del Papa. Non si spiegherebbe, altrimenti, l’ostinazione con cui viene offerto l’omaggio al capomafia durante le processioni religiose che, come ha più volte spiegato Papa Bergoglio, non possono avere nulla a che fare col falso «sentimento religioso» dietro cui si nascondono capi e gregari di Cosa nostra. E’ trascorso meno di un anno da quel mese di luglio che fu teatro del più plateale degli anatemi lanciato da Francesco durante la messa celebrata nella piana di Sibari, in quella terra che era già stata al centro di scandali proprio per il «vizietto» dell’inchino della Madonna davanti all’abitazione del boss, magari detenuto al 41 bis. Le parole del Papa arrivavano sull’onda della processione della Madonna delle Grazie, a Oppido Mamertino, culminata nella sacrilega dedica al boss Peppe Mazzagatti. Francesco non usò parole felpate per dire che non ci può essere posto, nella comunità ecclesiale, per mafia e mafiosi. Una scomunica definitiva perché la mafia «Adora i soldi e disprezza il bene».
Ma a San Michele di Ganzaria, territorio Calatino tra Catania e Caltagirone, questo messaggio non deve essere arrivato. Lo scorso venerdì santo, infatti, la «vara» col corpo di Gesù morto, portata in spalla da una ventina di «fedeli», a un certo punto ha lasciato il corteo per conquistare la porta dell’abitazione di don Ciccio La Rocca, capo detenuto al 41 bis, uomo fedelissimo (lui sì) di Nitto Santapaola, capo di tutta la Cosa nostra catanese. Mossa fulminea, quella dei «fedeli», che ha lasciato in imbarazzo il sindaco, cui non è rimasto altro da fare che togliersi la fascia tricolore e abbandonare la processione. Iniziativa lodevole e già felicemente diversa da quella del sindaco di Oppido Mamertino che, allora, non trovò di meglio che ricorrere all’improbabile giustificazione: «A noi pare sia stata ripetuta la gestualità di sempre». Frase ignorata dal vescovo, mons. Milito, che sospese lo svolgimento di tutte le processioni.
Eravamo a luglio dell’anno scorso, poi la scomunica del Papa: oggi di nuovo a condannare una processione con «dedica». Certamente deve esserci un legame forte tra mafia e tradizioni religiose. L’uso improprio della fede e della «volontà di Dio» ha varcato persino i confini delle aule di giustizia e ce la ritroviamo nelle parole di gelidi capimafia che uccidono «per volontà di Dio». Nel caso delle processioni, però, c’è qualche altra cosa di più terreno. Ci sono le congregazioni religiose che hanno un potere straordinario, specialmente nelle comunità più piccole. Si tratta di organismi «politici» che gestiscono risorse e piccoli poteri, ma sfuggono ad ogni controllo. Certo, ci sono i parroci che, alla fine, dovrebbero sorvegliare. Ma quanti sono i preti di periferia che hanno la forza di impattare con uomini forti e prepotenti? In Calabria, Santuario della Madonna di Polsi, le assemblee religiose di centinaia di persone nascondevano i summit della ‘ndrangheta. Per fermarli fu necessario inviare l’esercito. E i preti? Raramente hanno collaborato, forse fuorviati da una mafia che si autodefinisce «la Santa».