martedì 29 marzo 2016

La Stampa 29.3.16
Vargas Llosa, l’individuo come misura di tutte le cose
Celebrati a Madrid gli 80 anni del premio Nobel
di Alberto Mingardi

Una festa in abito scuro per mezzo migliaio di amici, due giorni di convegno alla Casa de América di Madrid. I festeggiamenti per gli ottant’anni di Mario Vargas Llosa hanno un che di monumentale.
Ciò che rende queste celebrazioni non solo intense ma anche in qualche modo urgenti è che al profilo del grande romanziere si sovrappone quello del difensore della società aperta. Vargas Llosa ha maturato con gli anni una sensibilità liberale, nutrita di letture (Popper e Revel, Mises e Hayek), ma soprattutto rinvigorita dal confronto con quei regimi che in America Latina, prima che altrove, sono apparsi a manciate. Li potremmo chiamare «populismi». Siccome la parola è inflazionata e frusta, meglio precisarne i contorni: la seduzione demagogica, la centralizzazione politica come biglietto d’ingresso al paese dei balocchi, il fastidio per il diritto di parola e tutto ciò che lo consente, a cominciare dal fatto che le tipografie non appartengano proprie tutte allo Stato. In principio fu il peronismo, ma il virus s’è diffuso.
Vargas Llosa l’ha fronteggiato in prima persona nel suo Perù. Nel 1987 Alan García annuncia la nazionalizzazione delle banche private in nome della «democratizzazione del credito». Cioè: della pretesa che sia il governo a decidere chi merita d’esser finanziato. In un articolo, «Verso il Perù totalitario», Vargas Llosa vaticina che l’interventismo di García prelude alla sospensione della democrazia: chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini, la politica non allunga le mani sul credito per chissà quale senso del bene comune, ma per condizionare ancora più in profondità la vita economica. Da quell’intervento nasce un manifesto, poi un raduno in cui Vargas Llosa arringa migliaia di persone, poi il «Movimiento Libertad» e la candidatura a Presidente nel 1990. Non sono molte le carriere politiche fondate su una difesa dei diritti di proprietà dei banchieri. Vargas Llosa arriva al secondo turno, salvo perdere contro Fujimori.
Proprio sotto la dittatura di Fujimori è ambientato anche il suo nuovo romanzo (non ancora tradotto) Cinco esquinas. Non è una prima volta. Conversazione nella «catedral» parla del regime di Odría, La festa del caprone ricostruisce la vita quotidiana di Trujillo, per un trentennio signore assoluto della Repubblica Dominicana. Raccontando il sadismo con cui i potenti umiliano i sudditi, lo scrittore di Arequipa riflette sulle miserie del potere: questa strana cosa che è come la luce per le falene, per il peggio che è in noi.
Oggi attivista per la liberazione di Leopoldo Lopez e degli altri prigionieri politici venezuelani, Vargas Llosa considera l’individuo la misura di tutte le cose. Dalla sua libertà, non si aspetta la perfezione su questa terra. Ma una sorta di reciproca tolleranza di ciascuno per gli errori e i peccati altrui. Di questi tempi, dovremmo rendercene conto: è un’idea bella e fragile.
Twitter @amingardisti tempi, dovremmo rendercene conto: è un’idea bella e fragile.