La Stampa 29.3.16
Pavese, verrà il Superuomo e avrà i tuoi occhi
Pubblicata
una traduzione dellaVolontà di potenzadi Nietzsche a cui lo scrittore
lavorò tra il ’44 e il ’45: conferma l’interesse per il filosofo che gli
ispirò lo sfondo mitico deiDialoghi con Leucò
di Lorenzo Mondo
L’editore
Aragno ha messo a segno un buon colpo, pubblicando un insospettabile
inedito di Cesare Pavese: la traduzione di due libri della nietzscheiana
Volontà di potenza (compresa nel volume Amor fati, Pavese all’ombra di
Nietzsche, a cura di Francesca Belviso, introduzione di Angelo d’Orsi,
pp. XXI-278, € 25).
A chi non abbia una stretta familiarità con
Pavese, può riuscire strano, eccentrico, che egli si cimenti con la
lingua tedesca e, in secondo luogo, con quel pensatore. In verità, fin
dagli anni giovanili si era esercitato a tradurre, da autodidatta, vari
poeti tedeschi. Rammento che nella sua biblioteca conservava tra l’altro
un Faust delle Universale Sonzogno fittamente annotato. Ma è soltanto
nel 1940 che Cesare si mette a studiare con impegno la lingua di Goethe,
e di Nietzsche. Anche a proposito di quest’ultimo sono testimoniate
letture precoci, che però soltanto negli anni di guerra diventano
determinanti. Allora legge e annota, in particolare, La nascita della
tragedia, che avrà per lui una grande importanza sul piano creativo,
ispirando lo sfondo mitico dei Dialoghi con Leucò. Cos’era accaduto
perché l’accreditato studioso e traduttore della letteratura
angloamericana mutasse il suo campo d’interesse?
La germanofilia di Pintor
È
decisivo a questo proposito l’incontro e il sodalizio che egli ebbe con
Giaime Pintor. Quello che diventerà un’icona dell’antifascismo, non
soltanto conosceva e praticava a fondo la lingua tedesca, ma professava
una grande ammirazione per la Germania e la sua cultura, senza escludere
quella collusa con il Terzo Reich: i filosofi che incarnano la «crisi
della modernità» e i compagni di generazione, fatti oggetto di una
spavalda, indifferenziata solidarietà. Tutto questo viene contrapposto
alla esausta cultura idealistica e storicistica. Lo dimostra l’elenco
degli autori proposti per la traduzione alla casa editrice Einaudi di
cui Giaime è autorevole consulente. Autori, tra i quali primeggia
Nietzsche, caldeggiati da Pavese. Nasce su ispirazione di Pintor la sua
germanofilia, che durerà anche dopo la «conversione» e la morte
dell’amico agli albori della Resistenza.
I segnali di un rinnovato
interesse per il «filosofo-poeta» (così Pavese) si potevano già
cogliere, vistosamente, nel «taccuino segreto» del 1942-1943, pubblicato
proprio su questo giornale nel 1990. Dove Pavese ravvisa, nella
decisione di studiare il tedesco, il segno di un destino, «l’impulso del
subcosciente a entrare in una nuova realtà»: chiudendo quella notazione
con un illuminante «Amor fati». Più avanti, irride agli affannosi
tentativi del governo Badoglio di uscire dalla stretta della guerra: «La
pace! la pace! come se quando il mondo è tutto in guerra si potesse
vivere in pace. Meglio insistere come uomini sulla propria strada. Ma -
dicono - noi non l’abbiamo voluta. Ach! quando mai si vuole il destino?
Ci vuole l’amor fati di Nietzsche. La guerra è destino come l’amore».
Pavese
sta scrivendo tra le colline di Serralunga, dove si è rifugiato dopo
l’8 Settembre, dibattendosi tra sensi di colpa e oscuri rancori nei
confronti di amici che combattono nella Resistenza, fidando nella
disciplina tedesca e nel fascismo purificato da Salò per risollevare le
sorti del conflitto. È la storia già nota del breve, e inconfessato,
smarrimento di Pavese nella catastrofe nazionale. E non bisogna, a
rigore, attribuire la responsabilità delle sue confuse notazioni a
Nietzsche. Che, d’altronde, lo stesso Pintor aveva sottoposto a un
processo di denazificazione.
Anni di «transigenza»
Comunque è
proprio in quel torno di tempo, tra il ’44 e il ’45, che Cesare si
applica alla traduzione della Volontà di potenza. Resa, come riferisce
Francesca Belviso, «con una prosa sobria, quasi scarna», si presenta di
agevole lettura, ma prende significato dai saggi che l’accompagnano. La
curatrice, prima di arrivare a Pavese, ripercorre la ricezione critica
di Nietzsche in Italia, in origine più estetica che filosofica, a
partire dall’antesignano D’Annunzio.
Angelo d’Orsi, forte di una
collaudata frequentazione del momento storico, indaga su quella che egli
ama definire «transigenza» culturale, anche da parte di sicuri
antifascisti, nei confronti del mondo tedesco. A proposito di Pavese,
l’impolitico per definizione, si sorprende che abbia tradotto un’opera
di Nietzsche «tra le più esposte sul piano ideologico». E sembrano
davvero ininfluenti, a fare chiarezza, le reprimende di Augusto Monti,
l’antico maestro, che imputava a Pavese atteggiamenti superomistici.
Contano di più le affinità di poetica segnalate dalla Belviso. Anche se
risulta forse eccessivo accomunare La volontà di potenza alla Nascita
della tragedia come anelli fondamentali nella definizione di una poetica
«che non è mimesi né ricerca di una “sensualità verbale”, bensì puro
ritmo, musica, ovvero sensazione pura che vuol essere simbolo».
«Battitore libero»
Resta,
su questa impresa pavesiana, un denso velo di ambiguità, accentuato dal
fatto che egli abbia lasciato interrotta e non rifinita la sua
traduzione. Mi piace concludere allora con Angelo d’Orsi, che non ama il
Pavese narratore, ma gli rende l’onore delle armi come «battitore
libero», come inquieto, inesausto ricercatore. Proprio le sue debolezze,
la stessa deprecata riluttanza all’impegno politico, consentono «di
guardare ai temi, alle forme, alle rappresentazioni di Pavese, compresa
quella del “suo” Nietzsche, in modo nuovo, meno vincolato a schemi; e,
in definitiva, più creativo».