domenica 27 marzo 2016

La Stampa 27.3.16
Salvini tenta la carta estera
Dopo Putin viaggio in Israele
Il leader del Carroccio pianifica il Giappone e sogna gli Usa di Trump
qi Alberto Mattioli

È il nuovo fronte della politica estera della Lega. Martedì, Matteo Salvini partirà per un viaggio a Gerusalemme e Tel Aviv con una nutrita delegazione leghista e soprattutto con un’agenda fitta di incontri di livello: un ministro, due viceministri, il vicepresidente della Knesset e Avigdor Liberman, leader del partito di destra «Israel Beitenu». È un salto di qualità nelle relazioni internazionali leghiste, finora segnate da qualche inevitabile delusione (il tentativo precedente di farsi ricevere in Israele non andò a buon fine, il visto negato dalla Nigeria) e qualche evitabile gaffe, come la visita di Salvini in Corea del Nord, «che sembra la Svizzera», e quel che è peggio insieme con Razzi.
Il tour israeliano è stato preparato con cura. Il gran tessitore è il «ministro degli Esteri» leghista, il deputato romagnolo Gianluca Pini, e le dichiarazioni della vigilia certo non dispiacciono a Gerusalemme: «L’Europa dei matti vuol fare entrare la Turchia e mette sanzioni contro i prodotti di Israele», ha già tuonato Salvini. Pini mette le mani avanti dicendo che nell’annoso contenzioso mediorientale «Israele ha il 99,99% delle ragioni». Prevista anche una visita allo Yad Vashem dove Salvini farà una dichiarazione «molto netta» a sostegno dello Stato ebraico. Ma, spigolando nel programma, l’appuntamento più sorprendente è quello con monsignor Giuseppe Lazzarotto, nunzio apostolico a Gerusalemme: «Il primo incontro ufficiale fra Salvini e un esponente della Santa Sede», chiosa soddisfatto Pini.
Se tutto andrà bene, insomma, è un bel colpo. Anche a uso interno: la credibilità di un leader si vede dai suoi contatti internazionali. Così, Salvini sta moltiplicando i viaggi all’estero, e sono lontanissimi i tempi di quando l’estero iniziava a Firenze. In carnet c’è un viaggio in Giappone e poi quello, di cui si parla da tempo, negli Stati Uniti, magari incontrando Donald Trump con cui Salvini ha in comune l’allergia all’establishment e al politicamente corretto. Ci lavora Guglielmo Picchi, ex deputato eletto all’estero per Forza Italia e poi passato alla Lega.
Anche in Europa c’è una nuova opportunità: la Brexit. Per l’europarlamentare Luca Fontana, ideologo della Lega salviniana, l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue sarebbe la prova provata che la scelta europea non è irreversibile. «Manderemo una delegazione a Londra a esprimere il nostro sostegno», annuncia Pini, benché i rapporti con l’Ukip siano cattivi dopo che Farage ha deciso di non entrare nell’Enf, il gruppo anti-Ue al Parlamento di Bruxelles.
Qui la Lega va d’amore e d’accordo con gli alleati tradizionali, in primis il Front national di madame Le Pen con la quale Salvini non perde occasione di scambiare visite, apprezzamenti e anche passi di danza, come al congresso di Lione. Poi ci sono i «liberali» austriaci dell’Fpo, i fiamminghi del Vlaams Belang, gli olandesi del carismatico Geert Wilders e un po’ di romeni, polacchi e cechi poco decifrabili. Naturalmente, l’alleato ottimo massimo, amatissimo anche dalla base, resta Vladimir Putin. Ufficialmente, lui e Salvini si sono visti una volta sola, nell’ottobre 2014 a Roma. Ma è bastato, gongola Pini, perché i russi inserissero la foto dell’incontro nell’agenda dell’anno 2015, strenna diplomatica «dove l’unico altro italiano fotografato con Putin è Napolitano». La Grande madre Russia è vista come un argine all’islamismo, e lo stile Putin, spiccio e pragmatico, piace moltissimo ai leghisti. Del resto, a Putin piacciono tutti quelli cui non piace l’Europa: infatti a Milano, all’ultima rimpatriata dell’Enf, c’erano anche due suoi diplomatici.
Insomma, per la Lega di lotta ma magari domani anche di governo, è tempo di grandi manovre diplomatiche. Pini, che è capogruppo nella Commissione Esteri di Montecitorio, ha appena presentato una mozione dove il regime nordcoreano è definito «un fattore di preoccupazione». Altro che Svizzera...