La Stampa 27.3.16
I “nuovi” Cinque Stelle di lotta e di governo ora fanno paura al Pd
M5S “moderati” su adozioni, politica estera e Roma
di Fabio Martini
I
“nuovi” Cinque Stelle - di lotta ma ora anche di governo - fanno sempre
più paura al Pd. Il “riposizionamento” del movimento non è sfuggito
alle antenne ipersensibili di palazzo Chigi: dai primi di febbraio i
Cinque Stelle hanno cambiato decisamente postura, lanciando almeno tre
segnali in clamorosa controtendenza rispetto agli anni precedenti, che
erano stati segnati da una predicazione nichilista, all’insegna del
«sono tutti ladri». Il 6 febbraio Beppe Grillo («libertà di coscienza ai
parlamentari») annuncia la svolta sulle adozioni per i gay, segnale
forte all’elettorato cattolico e moderato: il 23 febbraio viene scelta
come candidato per Roma Virginia Raggi, una avvocatessa trentasettenne,
alternativa ma non aggressiva, che non dispiace a destra, come
dimostrano le parole di Giorgia Meloni: «Se non andrò al ballottaggio
voterò per la Raggi». E ancora: quattro giorni fa uno del direttorio
pentastellato come Alessandro Di Battista, solitamente fiammeggiante, ha
detto in riferimento alla Libia: «Mi auguro che Renzi resista ad
intervenire, sono settimane che lo fa nonostante le pressioni che
arrivano dagli altri paesi e gliene do atto».
Cinque Stelle che
restano alternativi ma con posizioni che “parlano” ad un elettorato
trasversale, compresi anche - ecco la novità più temuta - elettori del
Pd. E d’altra parte i sondaggi, tenuti nella massima considerazione a
palazzo Chigi, segnalano che la svolta non dispiace all’opinione
pubblica. Le oscillazioni nelle intenzioni di voto dimostrano che è
rientrata la piccola crisi di consensi emersa nei confronti dei Cinque
Stelle dopo i sospetti di inquinamento camorristico nel voto al comune
di Quarto: secondo Euromedia Research, il movimento di Grillo era
calato, fino a scendere (a metà febbraio) a quota 24,5%, ma poi la
graduale risalita col 25,1% di questa settimana; anche per Ixè la caduta
è finita ed è iniziata la risalita che viene collocata ad un valore
simile: 24,8% nell’ultima rilevazione.
Per il momento la reazione
si è concentrata sulla candidata M5S a Roma. Il Pd (con l’avallo di
palazzo Chigi) ha avviato una martellante campagna nei confronti di
Virginia Raggi, colpevole di dichiarazioni che avrebbero fatto cadere il
titolo dell’Acea, la multiutility comunale dell’acqua e
dell’elettricità. Un attacco che ha mostrato subito la corda (il titolo
aveva subito una ben più drastica caduta pochi giorni prima delle
dichiarazioni della Raggi), ma raramente si era determinato un
“accerchiamento” così poderoso e con argomentazioni così
controvertibili. Un attacco al quale hanno partecipato, con
dichiarazioni fotocopia alcune delle personalità di punta del Pd. Il
presidente del partito, un personaggio che solitamente calibra le parole
come Matteo Orfini, ha sostenuto: «Frasi a caso e incompetenza: la
Raggi parla di Acea e fa perdere ai romani 70 milioni di euro. Un
pericolo pubblico a 5 stelle», sostenendo che è il momentaneo calo in
Borsa delle azioni Acea sarebbe stato pagato dai «romani», anziché
(eventualmente) dai possessori di azioni che le avessero vendute proprio
il 23 marzo. E persino Roberto Giachetti, un ex radicale che si è fatto
una reputazione nel segno del garantismo e del rispetto degli
avversari, si è segnalato con queste parole: «Si candidano per governare
Roma, ma pensano di giocare a Monopoli». Ma il britannico Economist ha
coniato per Virginia Raggi la definizione che fa più male al Pd:
potrebbe essere «una candidata democratica o repubblicana».