domenica 27 marzo 2016

La Stampa 27.3.16 
Museo del fascismo, il rischio della storia “usa e getta”
Fa discutere l’iniziativa del sindaco pd di Predappio. Deve servire ad accrescere il sapere storico, non diventare un’attrazione turistica
di Giovanni De Luna

A Predappio, città natale di Benito Mussolini che oggi ospita la sua tomba, sta per nascere un Museo del fascismo. La notizia, lanciata dalla Stampa, ha suscitato inevitabili discussioni. Alcune squisitamente politiche. Il fatto che il governo Renzi si sia immediatamente dichiarato favorevole, annunciando anche uno stanziamento di 5 milioni di euro, è stato criticato - sul «Domenicale» del Sole-24 Ore - da Carlo Ginzburg, che ha visto nell’iniziativa il marchio del progetto politico renziano del «partito della nazione». Il dibattito ha ovviamente chiamato in causa gli storici. Raccogliendo un appello di Tommaso Detti, Giovanni Gozzini e Marcello Flores (che è anche il coordinatore del progetto), oltre 50 studiosi - molto seri e niente affatto sedotti dai discorsi revisionisti - hanno dato il loro parere favorevole, mentre altri ne hanno criticato soprattutto la collocazione («perché non Fossoli?» si è chiesto ad esempio Simon Levi Sullam).
I nostalgici del Duce
Nel documento di indirizzo, l’intento che anima la scelta voluta dal sindaco pd di Predappio appare largamente condivisibile: si tratta di sottrarre quel luogo - segnato dalla memoria che aleggia intorno al culto delle spoglie del Duce - alle celebrazioni rituali dei fascisti e restituirlo alla ricerca storica. Dunque più storia e meno memoria - soprattutto quando questa è intrisa di un vittimismo ridondante e istituzionalizzato - e il proposito di affidare il percorso espositivo a una narrazione che tenga insieme emozione e conoscenza, reperti museali e installazioni audiovisive, esigenze didattiche e motivi spettacolari.
Meno chiara è invece l’ipotesi storiografica sulla quale dovrebbe fondarsi l’intera strategia narrativa. Proprio perché l’allestimento vuole proporsi come una sintesi dei principali linguaggi della contemporaneità (dal cinema alla fotografia, dalla televisione alla letteratura), per evitare che questi accostamenti si traducano in una babele incomprensibile è necessario un ancoraggio molto saldo, sia dal punto di vista concettuale sia storiografico.
Sono molte le interpretazioni che gli storici hanno avanzato sul fascismo. Per ricordare quelle più datate, il «fascismo parentesi» di Benedetto Croce aveva guardato al regime come a una sorta di invasione degli Hyksos, venuta dal nulla e scomparsa nel nulla per lasciare l’Italia repubblicana libera di ricongiungersi a quella liberale; il «fascismo rivelazione» di Piero Gobetti giudicava la dittatura parte integrante dell’autobiografia della nazione, il luogo storico in cui erano affiorati tutti i mali endemici del sistema politico e della società italiana. Quale che sia la fondatezza di queste interpretazioni - oggi superate in un approccio meno concentrato sugli aspetti italiani del fascismo -, quello che importa è che a ognuna di esse corrisponde necessariamente un diverso percorso museale, un’altra periodizzazione, altre priorità su cui orientare il racconto proposto dall’allestimento.
Luoghi di intrattenimento
Detto con franchezza, un museo storico non può proporsi obiettivi diversi da quelli dell’incremento del sapere storico diffuso. Il visitatore che inizia la sua visita con un livello di conoscenza uguale a 100 dovrebbe concluderla con una conoscenza uguale a 100 + 1. Per raggiungere questo intento occorre inserire il progetto all’interno di un’opzione culturale trasparente, che ne organizzi e renda immediatamente fruibili i contenuti, aiutando il passato a transitare nel presente.
Nell’assenza di un «punto di vista» esplicito, il rischio è quello del museo-merce. Per almeno due secoli l’organizzazione dei musei storici è stato uno degli ambiti in cui lo Stato-nazione ha costruito la sua egemonia sui discorsi riguardanti il passato. Oggi, in questa configurazione, i musei sopravvivono negli Stati ex comunisti dell’Est europeo, in alcune aree periferiche rispetto all’Europa (le due Coree ad esempio) o si accampano al centro delle rivendicazioni dei «popoli senza Stato», intercettando le spinte autonomistiche e identitarie di Paesi come Scozia, Galles, Catalogna, Paesi Baschi ecc. Per il resto, il museo-merce e luogo di intrattenimento sta scalzando quasi dovunque il museo-monumento, nel tentativo di assecondare i gusti di un pubblico più esteso e più variegato.
Le esigenze spettacolari
I finanziamenti sempre più esigui che arrivano dagli enti pubblici hanno provocato un netto cambiamento: per ottenere fondi dai privati, infatti, si è consolidato un circuito in cui diventa necessario attirare visitatori e per attirarli bisogna divertirli, ottenere l’inserimento nei percorsi dei tour operator, offrire una serie di servizi di supporto tali da rendere appetibile «la gita». La «narrazione» viene modellata così sulle esigenze spettacolari dettate dal mercato e la visita al museo non serve tanto ad aumentare la conoscenza della storia quanto a offrire «un’esperienza».
Predappio è già oggi così. I flussi turistici che la riguardano sono imponenti; i visitatori si rincorrono tra le strade e le trattorie della cittadina, affollano i luoghi del Duce e non solo. Un Museo del fascismo, collocato in uno scenario del genere, rischia di diventare l’ennesima attrazione, un museo storico postmoderno che eclissa l’interpretazione ragionata della storia a vantaggio di un suo consumo «usa e getta».