domenica 27 marzo 2016

La Stampa 263.16
Nessuna sentenza definitiva per i crimini nella ex Jugoslavia
Karadzic, condannato a 40 anni, farà ricorso. Mladic e Seselj aspettano il primo grado

Il «boia di Srebrenica» nega tutto, col suo tono altero e sprezzante. Il Tribunale Penale internazionale dell’Aia lo ha condannato a quarant’anni ritenendolo colpevole di genocidio, crimini di guerra e delitti contro l’umanità. I giudici della Corte Onu gli hanno attribuito giovedì la responsabilità degli 11.541 civili morti dell’assedio di Sarajevo (1992-1996) e il tentativo di azzerare l’enclave islamica dell’ex Jugoslavia, Srebrenica appunto, dove ottomila musulmani furono sterminati in pochi giorni (1995). Lui si difende secco, si dice sorpreso, parla di sentenza basata su «improvvisazioni, ipotesi, speculazioni piuttosto che sui fatti». Farà ricorso per un motivo che dice di trovare semplice: «Voi non vi rendete conto di cosa fossero costretti a sopportare i serbi bosniaci negli anni Novanta».
Le toghe del tribunale internazionale si sono invece rese conto di quanto è capitato ai musulmani jugoslavi. «Questa Camera ha concluso che karadzic è colpevole di genocidio», è stato il verdetto, che arriva da L’Aia a oltre vent’anni dal crollo della repubblica titina. Venerdì prossimo tocca a Vojislav Seselj, l’architetto della «Grande Serbia», progetto in cui intendeva far confluire Montenegro, Macedonia, pezzi di Bosnia e Croazia. Secondo l’accusa, sarebbe colpevole di omicidio, sterminio, persecuzioni per ragioni politiche, razziali e religiose. È stato liberato nel novembre 2014 per curarsi un tumore. «Mi hanno fatto uscire poiché non sapevano che fare di me», ha commentato. Ora arriva la sentenza.
Si rischia il bis del settantenne karadzic, che potrebbe uscire fra 18 anni, se ce la farà. Il procuratore Alan Tieger aveva chiesto l’ergastolo, visto che «nell’obiettivo criminale di sterminare i bosniaci non serbi era il comandante supremo e non aveva nessuno sopra di lui». Oltretutto, «seguiva le operazioni a Srebrenica ed ha approvato ogni passo importante». Il Tpi ha concluso che lo psichiatra montenegrino - latitante per dodici anni e arrestato nel luglio 2008 mentre si nascondeva sotto le mentite spoglie del guaritore «Dottor Dabic» - è stato l’uomo del genocidio, ritenuto responsabile di massacri, stupri, torture, e pulizia etnica, anche in sette comuni bosniaci: Bratunac, Prijedor, Foca, Kljuc, Sanski Most, Vlasenica e Zvornik.
L’assedio di Sarajevo è stato materialmente peggiore. Per 43 mesi la città è stata colpita in media da 329 granate d’artiglieria al giorno: furono uccise oltre 11mila persone, di cui 1.601 bambini, e ferite altre 50.000. All’ex presidente dell’autoproclamata repubblica serba di Bosnia è stato imputato anche l’utilizzo di 284 caschi blu dell’Onu come scudi umani nel maggio-giugno 1995. C’è voluto tempo. Il primo atto d’accusa fu formalizzato il 25 luglio 1995.
Detenuto in attesa di giudizio nel penitenziario fra le dune di Scheveningen, il solo, è Ratko Mladic, 73 anni, generale dell’esercito dalla Republika Srpska, Bosnia e Erzegovina, che dai verbali dell’accusa esce come un vero macellaio, responsabile del massacro di diverse migliaia di persone in numerose località e di aver propagato il terrore fra i civili di Sarajevo. Con lui il 57enne Goran Hadzic, già presidente della Repubblica della Krajina Serba, presunto colpevole di una serie di crimini fra cui l’eccidio di Vukovar, in cui 264 individui non-serbi vennero prelevati da un ospedale e ammazzati a sangue freddo. Anche lui, come Seselj, è fuori per motivi di salute. Giustizia lenta, questa dell’Onu. Rischia di esaurirsi per la scomparsa di tutti gli imputati.