La Stampa 263.16
Nessuna sentenza definitiva per i crimini nella ex Jugoslavia
Karadzic, condannato a 40 anni, farà ricorso. Mladic e Seselj aspettano il primo grado
Il
«boia di Srebrenica» nega tutto, col suo tono altero e sprezzante. Il
Tribunale Penale internazionale dell’Aia lo ha condannato a quarant’anni
ritenendolo colpevole di genocidio, crimini di guerra e delitti contro
l’umanità. I giudici della Corte Onu gli hanno attribuito giovedì la
responsabilità degli 11.541 civili morti dell’assedio di Sarajevo
(1992-1996) e il tentativo di azzerare l’enclave islamica dell’ex
Jugoslavia, Srebrenica appunto, dove ottomila musulmani furono
sterminati in pochi giorni (1995). Lui si difende secco, si dice
sorpreso, parla di sentenza basata su «improvvisazioni, ipotesi,
speculazioni piuttosto che sui fatti». Farà ricorso per un motivo che
dice di trovare semplice: «Voi non vi rendete conto di cosa fossero
costretti a sopportare i serbi bosniaci negli anni Novanta».
Le
toghe del tribunale internazionale si sono invece rese conto di quanto è
capitato ai musulmani jugoslavi. «Questa Camera ha concluso che
karadzic è colpevole di genocidio», è stato il verdetto, che arriva da
L’Aia a oltre vent’anni dal crollo della repubblica titina. Venerdì
prossimo tocca a Vojislav Seselj, l’architetto della «Grande Serbia»,
progetto in cui intendeva far confluire Montenegro, Macedonia, pezzi di
Bosnia e Croazia. Secondo l’accusa, sarebbe colpevole di omicidio,
sterminio, persecuzioni per ragioni politiche, razziali e religiose. È
stato liberato nel novembre 2014 per curarsi un tumore. «Mi hanno fatto
uscire poiché non sapevano che fare di me», ha commentato. Ora arriva la
sentenza.
Si rischia il bis del settantenne karadzic, che
potrebbe uscire fra 18 anni, se ce la farà. Il procuratore Alan Tieger
aveva chiesto l’ergastolo, visto che «nell’obiettivo criminale di
sterminare i bosniaci non serbi era il comandante supremo e non aveva
nessuno sopra di lui». Oltretutto, «seguiva le operazioni a Srebrenica
ed ha approvato ogni passo importante». Il Tpi ha concluso che lo
psichiatra montenegrino - latitante per dodici anni e arrestato nel
luglio 2008 mentre si nascondeva sotto le mentite spoglie del guaritore
«Dottor Dabic» - è stato l’uomo del genocidio, ritenuto responsabile di
massacri, stupri, torture, e pulizia etnica, anche in sette comuni
bosniaci: Bratunac, Prijedor, Foca, Kljuc, Sanski Most, Vlasenica e
Zvornik.
L’assedio di Sarajevo è stato materialmente peggiore. Per
43 mesi la città è stata colpita in media da 329 granate d’artiglieria
al giorno: furono uccise oltre 11mila persone, di cui 1.601 bambini, e
ferite altre 50.000. All’ex presidente dell’autoproclamata repubblica
serba di Bosnia è stato imputato anche l’utilizzo di 284 caschi blu
dell’Onu come scudi umani nel maggio-giugno 1995. C’è voluto tempo. Il
primo atto d’accusa fu formalizzato il 25 luglio 1995.
Detenuto in
attesa di giudizio nel penitenziario fra le dune di Scheveningen, il
solo, è Ratko Mladic, 73 anni, generale dell’esercito dalla Republika
Srpska, Bosnia e Erzegovina, che dai verbali dell’accusa esce come un
vero macellaio, responsabile del massacro di diverse migliaia di persone
in numerose località e di aver propagato il terrore fra i civili di
Sarajevo. Con lui il 57enne Goran Hadzic, già presidente della
Repubblica della Krajina Serba, presunto colpevole di una serie di
crimini fra cui l’eccidio di Vukovar, in cui 264 individui non-serbi
vennero prelevati da un ospedale e ammazzati a sangue freddo. Anche lui,
come Seselj, è fuori per motivi di salute. Giustizia lenta, questa
dell’Onu. Rischia di esaurirsi per la scomparsa di tutti gli imputati.