Il Sole 27.3.16
Se i lupi non sono più solitari
di Alberto Negri
La
fine della teoria dei lupi solitari, che pure ci sono stati, e delle
schegge impazzite. Nella Raqqa d’Europa tutti si conoscevano ed erano
già in gran parte noti alla polizia, che fosse belga, francese o
americana o addirittura turca.
Ma la rete jihadista, che a
Molenbeek aveva il suo terminale al bar Les Beguines della famiglia
Abdeslam, arrivava fino alla Siria del Califfo Al Baghdadi. Dagli
attacchi di Parigi e Bruxelles emerge chiaramente che siamo di fronte a
un network internazionale esteso tra la capitale francese, quella belga e
in collegamento con la casa madre dell’Isis. Sono le altre filiali che
ancora ci sfuggono. Tutto questo non può essere una sorpresa. Eppure in
questi tre decenni le intelligence hanno continuato a lavorare sul
radicalismo islamico su scala nazionale e limitandosi a osservare assai
da lontano gli eventi mediorientali, con un’inesistenza sistematica di
relais tra i servizi. I jihadisti sono meglio organizzati.
Sapevamo
già molte cose per prevenire o contenere questi attentati. Colpisce che
uno degli arrestati sia Abderahmane Ameroud, un franco-algerino già
condannato in Afghanistan - Paese dove gli occidentali sono schierati
militarmente da 15 anni - per complicità nell’omicidio del comandante
tagiko Shah Massoud, ucciso il 9 settembre 2001, due giorni prima
dell’attacco in Usa di Al Qaeda. Ma era proprio a Molenbeek, nella
capitale belga, che vennero reclutati i due tunisini kamikaze che
fingendosi giornalisti assassinarono Massud: una storia che abbiamo
raccontato due giorni fa su questo giornale con la testimonianza di un
ex viceministro talebano, Washid Mozdah, colui che nel luglio 2001
avvertì gli americani di un possibile grande attentato sul territorio
Usa. In questa vicenda non ci sono soltanto le impronte dei soliti
sospetti ma tracce profonde come solchi che dovevano spingere a
indagare. Ma il primo difetto di questa intelligence è proprio la
mancanza di curiosità intellettuale. L’Isis, ora sotto pressione per
l’avanzata di Assad sostenuto dall’aviazione russa, ha creato in Europa
una rete in grado di sostenere una campagna prolungata di attentati: lo
sostiene un rapporto dei servizi francesi pubblicato di recente dal New
York Times. Il braccio armato del Califfato all’estero ha iniziato da
tempo a infiltrare combattenti addestrati in Siria e capaci di
organizzare le cellule operative. L’aspetto più interessante è che il
network risale alla fine del 2013: ha preceduto quindi la proclamazione
del Califfato nel giugno 2104 a Mosul. Ma le “fabbriche della Jihad”,
come le chiamava Wahid Mozdah, si sono insediate in Europa prima
dell’ultima generazione jihadista utilizzando marchi diversi: il
franchising di Al Qaeda è passato all’Isis. Cinquemila sarebbero i
foreign fighters partiti in questi anni per la Siria, un quarto
provenienti dai Balcani: non potremo stupirci se ritroveremo qualche
nome che abbiamo già visto in Bosnia, Kosovo o Macedonia negli anni ’90.
Questo
è un conflitto decentralizzato e prolungato, che sopravvive ai suoi
leader, all’illusione di effimere occupazioni territoriali come in
Afghanistan o Iraq, ai bombardamenti con i droni: la vecchia guerra al
terrorismo “all’americana” non solo non ci ha reso più sicuri ma l’ha
portata in casa nostra.