La Stampa 24.3.16
“Antigiudaismo, la base del pensiero occidentale”
Arriva in Italia il saggio di David Nirenberg che ha acceso il dibattito storiografico anglosassone
di Serena Di Nepi
È
da poco uscito in traduzione italiana, con il titolo L’antigiudaismo.
La tradizione occidentale (Viella, pp. 442, € 39) il volume di David
Nirenberg che tanta attenzione ha suscitato nel dibattito storiografico
anglosassone sin dalla prima edizione americana del 2013. La tesi
centrale sviluppata nelle dense pagine del volume, e sostenuta da un
ricco apparato di note e bibliografia sulla materia, insiste sull’«idea
che l’antigiudaismo non deve essere inteso come un ripostiglio arcaico e
irrazionale nel vasto edificio del pensiero occidentale: di fatto è uno
degli strumenti fondamentali con cui quell’edificio è stato costruito».
In
questa definizione sta la novità dell’interpretazione proposta, che
svincola la storia dell’ostilità anti-ebraica dai suoi più tradizionali
paradigmi: pregiudizio, discriminazione e persecuzione vengono slegati
dalle radici cristiane e esaminati al di là dei contesti sociali di
riferimento. Gli ebrei in carne e ossa sono fantasmi, la cui presenza
aleggia nell’analisi ma viene intenzionalmente trascurata.
La
definizione di antigiudaismo come pilastro attorno al quale si sviluppa
l’autodefinizione dell’Occidente (incluso il pensiero islamico) come
differenziazione da ciò che è giudaico permette alla ricostruzione di
superare la discussione sulle radici cristiane dell’antisemitismo
contemporaneo. Il libro è un viaggio lungo tre millenni, che parte
dall’Egitto dei faraoni, attraversa la penisola arabica dell’epoca di
Maometto, si sofferma lungamente sull’Europa del Medioevo e dell’Età
moderna, per poi approdare alla Shoah e ai suoi interrogativi.
Nirenberg
elabora un’interpretazione di largo respiro, che ha molti pregi e
qualche punto di debolezza e che, come sempre in questi casi, è
destinata a far discutere gli specialisti anche in Italia. La
terminologia scelta dallo studioso americano, su cui i traduttori si
soffermano con una nota che spiega l’uso delle parole «ebreo» e
«giudeo», risulta, infatti, in qualche modo ambigua proprio per il
dibattito italiano, che molto ha lavorato sulle diverse definizioni
dell’odio antiebraico.
Questa edizione, scorrevole e piacevole
nonostante le grandi difficoltà del testo originale, riporta
all’attenzione del pubblico di casa nostra un argomento difficile e
importante. In un’opera dal titolo molto simile uscita qualche anno fa -
e che, senza dubbio, costituisce un punto dal quale ripartire - Pietro
Stefani (L’antigiudaismo. Storia di un’idea, Laterza, 2004) aveva
illustrato il nodo teologico dell’antigiudaismo cristiano, di cui aveva
ripercorso l’evoluzione ideologica e le pratiche sociali fino al
Concilio Vaticano II e alle rotture che questo ha inaugurato. In anni
recenti si è, in qualche modo, arrivati a distinguere, pur con molti
disaccordi sui legami diretti tra il primo e il secondo, tra
l’antigiudaismo, inteso come espressione di avversità teologica
cristiana, e l’antisemitismo di stampo biologico e razziale.
Con
l’affacciarsi di Nirenberg, la riflessione è destinata a riaccendersi, e
sarà interessante vedere come, nell’anno del cinquecentenario
dall’istituzione del ghetto di Venezia, verranno letti il passato (e il
presente) del paradigma antiebraico, con l’augurio, se libro avrà il
successo che merita, di vederne gli esiti più stimolanti ripercorsi in
una nota introduttiva alla seconda ristampa.