La Stampa 24.3.16
Distruggiamo la credibilità del Califfato
di Bill Emmott
Dopo
atrocità terroristiche come quelle di martedì a Bruxelles o a Parigi a
gennaio e novembre dello scorso anno, la pressione politica a reagire,
agire, contrattaccare è sempre intensa. Ci impegniamo a non cedere al
terrore, dicono tutti, però dobbiamo combattere. Ma come?
La risposta è: con la pazienza, con la determinazione e con la collaborazione.
La pazienza è al contempo la parte più difficile e la più importante.
Eppure
l’esperienza tratta da ogni atto di terrorismo che si è verificato in
Europa, in passato, sia in Gran Bretagna, Francia, Belgio, Italia,
Germania o Spagna, è che i peggiori errori sono stati commessi grazie a
reazioni dure e frettolose che servono solo ad aiutare i terroristi a
reclutare più sostenitori. La cosa giusta da fare è cercare di
immaginare che cosa davvero potrebbe servire agli attentatori, allo
Stato islamico, e quindi evitare di farlo. Sarebbero aiutati da misure
dirette a emarginare la comunità musulmana locale o da ritorsioni
arbitrarie e mal congegnate.
Come l’Esercito repubblicano
irlandese nel mio Paese durante gli Anni 70 e 80, ciò che lo Stato
islamico più desidera vedere sono i musulmani, i loro potenziali
sostenitori, in Belgio o in Francia o altrove, arrestati e imprigionati
senza processo, o deportati in base a un semplice sospetto. Nulla
sarebbe loro più utile per creare la prossima serie di kamikaze.
I
valori europei hanno bisogno di essere difesi, non sospesi e
sovvertiti. Parte di questa difesa dev’essere una reale attenzione ai
motivi di alienazione in una prospettiva di lungo termine. In primo
luogo la crisi economica e con essa la mancanza di lavoro e di
opportunità, un risentimento condiviso con il resto della popolazione in
molti Paesi della zona euro.
Questo, però, non è un problema
risolvibile nell’immediato, per quanto importante. Il problema più a
breve termine che i governi europei possono e devono affrontare con
determinazione e spirito di collaborazione è l’ascendente dello Stato
islamico nel presentarsi come causa da seguire e per cui lottare.
Negli
ultimi due-tre anni lo Stato islamico e il suo leader, Abu Bakr
al-Baghdadi, sono riusciti a rendersi credibili come potenza, e in
particolare come una forza con la possibilità di affermarsi come uno
Stato vero e proprio, che governa il territorio in Siria, Iraq e, forse,
Libia. Il suo successo nel catturare le città di Mosul in Iraq e Raqqa,
in Siria, in particolare, ha agito come fonte di ispirazione per molti
musulmani, in Medio Oriente, come in Africa o in Europa.
Questo
troppo spesso viene trascurato. Lo Stato islamico non è solo, o anche
soprattutto, attraente per la sua ideologia o per la religione. Lo è per
la sua credibilità. In effetti, sta facendo in Siria e in Iraq quello
che la creazione di Israele, e poi la sua agguerrita difesa, hanno fatto
in Palestina per gli ebrei.
La capacità di sferrare attacchi
terroristici nelle città europee è parte di questa credibilità, ma non
la più importante. Questo genere di attacchi, dopo tutto, sono stati
messi a segno in precedenza da altri gruppi, tra cui Al Qaeda di Osama
bin Laden, e da cani sciolti. La parte veramente significativa della
credibilità dello Stato islamico sta nel suo nome: il suo successo
nell’annettersi territorio e la creazione di uno Stato embrionale.
Quindi,
dopo gli attacchi di Bruxelles, i governi europei hanno bisogno di
concentrarsi su come intaccare e alla fine distruggere tale credibilità.
Scongiurare ulteriori attacchi terroristici nelle loro città è un
obiettivo comprensibile - e certamente per questo occorre un miglior
lavoro di intelligence - ma in ultima analisi un obiettivo che non potrà
mai essere pienamente raggiunto. Cambiare l’immagine dello Stato
islamico in Siria, Iraq e Libia è qualcosa che è possibile, e può essere
fatto.
Non è facile, altrimenti sarebbe già stato fatto. E non
sarà ottenuto con sporadici bombardamenti su obiettivi dello Stato
islamico da parte delle forze aeree britanniche, francesi, americane o
russe. Ma potrebbe essere raggiunto se i governi europei mostrassero
un’autentica determinazione e se lavorassero sodo per convincere
l’amministrazione Obama che l’assunzione di un ruolo serio in un’azione
militare durante il suo ultimo anno in carica è un rischio che vale la
pena correre.
Il piano di inviare forze in Libia, sotto la guida
italiana è una parte importante di questo scenario. Ma se dev’essere
fatto, allora dev’essere fatto con un maggior numero di truppe e mezzi
militari rispetto a quelle previste. Poi, i governi europei dovrebbero
prendere in seria considerazione l’ipotesi di unire le forze con la
Turchia, gli Stati arabi sunniti e il governo iracheno per cacciare lo
Stato Islamico da Mosul.
L’obiettivo è semplice: si deve
dimostrare che lo Stato islamico è perdente, una forza in declino e
sostanzialmente senza speranza. Il calo dei prezzi del petrolio ha già
ridotto il suo reddito. Le sconfitte militari, una dopo l’altra, lo
renderebbero meno attraente come entità per cui combattere, sia in Medio
Oriente o nelle città europee. Ciò può essere ottenuto solo con l’invio
di vere truppe, in accordo con le nazioni arabe, per mettere a segno
quelle sconfitte.
Non è una bella prospettiva. Ma l’alternativa è un continuo flusso di attacchi terroristici nelle città europee.
traduzione di Carla Reschia