La Stampa 23.3.16
“Caro vecchio Continente senza più un fremito morale”
La
scrittrice croata Dubravka Ugrešic racconta in Europa in seppia la
disillusione dell’Est dopo la sbornia iniziale di libertà e mercato
di Michela Tamburrino
Il
calzino-souvenir con l’effigie di Tito stampata sopra. Una cabina
telefonica fuori uso. L’Europa che non ride più. Sono foto dell’anima
che la scrittrice croata Dubravka Ugrešic si è trovata a scattare
traendo luce dalle mancanze, aprendo il grandangolo del paradosso.
Crudeli, ironiche, accorate.
Europa in seppia (Nottetempo, collana
cronache) è un album di scatti raccontati, un mondo che non c’è più si
impone, l’odierno, mentre esiste è già dimenticabile. Cartoline lanciate
come messaggi in bottiglia, da alberghi, aeroporti, convegni.
Rassicuranti non sono ma ci si ride sopra. E persino la solida nostalgia
di cui la massiccia Dubravka si ciba con famelico altruismo è diventato
prodotto usa e getta. La saggista e romanziera, amata per la sua
mancanza di conformismo, tradotta in venti lingue, in esilio in Olanda,
«mette in posa un’epoca per un impietoso selfie».
Lei scrive che l’Europa non ama più la vita.
«L’Europa
ha perso le coordinate, non funge più da concetto. L’unica cosa certa
di ogni singolo Stato europeo è la moneta unica. Umberto Eco diceva che
la cultura incontra un problema quando la si paragona alla valuta, in un
mondo globale proprio la cultura dovrebbe garantire da difesa
identitaria. Per me è un motivo di disperazione. Vedo l’Europa in una
luce cupa, soffro la mancanza di un progetto morale per il futuro, non
mi sento parte di una comunità, siamo testimoni del proliferare di tanti
fascismi diversi, in tanti luoghi diversi, ma noi non li vediamo come
tali. Colgo l’incapacità di leggere tanti segni e questo mi preoccupa».
Da qui la nostalgia per il suo mondo fatto a blocchi?
«La
nostalgia in sé ha un grande potenziale di vendita e di guadagno.
Oramai la maneggiano tutti, la usano i commercianti e i politici.
Prolifera lì dove manca un progetto per il futuro, ma noi viviamo in un
tempo in cui nessuno parla più del futuro. Io sono cresciuta in un’epoca
di forte progettualità. Pensavo che avrei comprato un biglietto per la
Luna. Nessuno lo dice più. La medicina e la tecnologia sono gli unici
campi ad indicare il domani. Vivremo tutti una lunghissima vecchiaia
contornati da macchine tutto fare. Nessuno però ci dice come staremo in
questo mondo, sanissimi, vecchi e sostituiti dai robot. In tanta
incertezza fiorisce la nostalgia cattiva ed ecco che allo stadio di
Spalato tra il manto in erba, dal cielo si vede una svastica».
C’è anche tanta paura tra le pieghe del suo libro.
«Viviamo
in un mondo che è stato allattato con la paura e la più grande è quella
del cambiamento. Il regime comunista organizzava sogni e desideri.
Miope pensare che il socialismo in Jugoslavia sia stato abbattuto per
uccidere una figura materna. In realtà è stato sostituito da una figura
ancora più materna: il nazionalismo. Peggiore perché mancante del piglio
ideologico, criminale perché si basa sull’etnia e sul gruppo
sanguigno».
Lei parla di Zagabria come farebbe un’amante tradita
«Ai
Padiglioni della Fiera di Zagabria ho accompagnato un mio amico
scivolato nella povertà a prendere pacchi destinati ai “casi sociali”.
Vent’anni fa in un analogo padiglione vennero torturati i concittadini
serbi».
Lei partecipa a molti festival letterari, eppure li descrive di grande pochezza.
«Il
sistema letterario ha perso appeal. Sgretolato il sostegno dato dalle
università e dalla critica, i festival sono entrati a far parte del
mercato. L’idea guida è pubblicizzare pur non essendo certi della bontà
del prodotto. C’è una manifestazione inglese nella quale si dava spazio
agli scrittori. Oggi chiedono agli autori una performance, purché sia
divertente. Finiremo tutti come Elena Ferrante e non ci mostreremo più».
Lei
adora il Museo del Cinema di Torino (oggi sarà al Circolo dei Lettori
nell’ambito del Festival Slavika) perché il cinema è il prodotto più
potente ed emozionante della nostra epoca.
«Sì, è il posto più
bello al mondo, sensuale, illuminato da energia onirica. Stesa su quelle
poltrone ho visto scene di ballo tratte dai film. Ecco, il mio
messaggio per il futuro sarebbe il ballo, gente normale che balla come
stelle in cielo».