La Stampa 23.3.16
Raúl e Fidel, i fratelli della Rivoluzione
sempre più vicini alla chiesa cattolica
L’incontro con Bergoglio ha impresso un’accelerazione
di P. Mas.
Sono
voci, che però stanno diventando sempre più consistenti. Dietro al
nuovo corso avviato a Cuba da Raul Castro, ci sarebbe anche una
riscoperta quanto meno dei valori legati alla fede cattolica con cui era
cresciuto. Stesso discorso per Fidel, che su questo tema ha un
atteggiamento più riservato, ma non nega più l’interesse per i temi
spirituali.
Entrambi i fratelli da ragazzi erano andati al Colegio
de Dolores, prestigiosa scuola gestita dai gesuiti a Santiago. Poi
Fidel, dopo una lite con un compagno di classe provocata da una disputa
sul baseball, era stato spedito dal padre a L’Avana, sempre dai gesuiti.
Una
volta vinta la rivoluzione Castro aveva chiuso le scuole cattoliche,
espulso i gesuiti, e quasi vietato la religione. Celebrare il Natale, ad
esempio, era stato proibito perché interferiva con il periodo della
raccolta della canna da zucchero, ed è rimasto così fino al viaggio di
Giovanni Paolo II. Da allora in poi, però, qualcosa ha cominciato a
cambiare.
Già durante l’incontro con Benedetto, Fidel aveva detto
al Papa che le riflessioni spirituali ormai riempivano una parte
significativa della sua vita. Con Francesco, poi, si è davvero aperto.
Quando a settembre il pontefice è entrato nella sua stanza, Castro aveva
sul tavolo, sottolineate, le dispense scritte da Bergoglio proprio sul
viaggio di Giovanni Paolo II. La leggenda vuole che fosse stato proprio
l’allora arcivescovo di Buenos Aires a scrivere nel discorso
l’esortazione affinché «Cuba si apra al mondo, e il mondo si apra a
Cuba», leggenda che peraltro lui non ha mai smentito. Poi Fidel aveva
letto l’enciclica sul clima, dicendosi molto contento di condividere le
stesse opinioni di Francesco. Quando infine Bergoglio gli aveva regalato
una raccolta di scritti del suo professore preferito al Colegio de
Dolores, morto poi in esilio, Castro aveva detto: «Sono diventato un
rivoluzionario per colpa vostra. Siete voi gesuiti che mi avete
insegnato a ragionare, e mettere sempre in discussione l’autorità».
Chi
ha conosciuto Fidel pensa che se si riavvicinerà alla fede, sarà un
processo personale e riservato. Diverso, invece, è il discorso per il
fratello. Quando aveva visitato Francesco a Roma, era stato lo stesso
Raùl a dire che questo Papa lo stava riconciliando con la Chiesa, perché
la riportava all’origine della sua missione pastorale. Quella poteva
essere una dichiarazione ad effetto, rilasciata tanto per ingraziarsi
una persona che si stava già adoperando per la normalizzazione dei
rapporti con gli Stati Uniti. Castro, però, l’ha poi ripetuta in varie
occasioni private, apparentemente fuori contesto e comunque senza lo
scopo evidente di ottenere qualche vantaggio politico. Ad esempio lo ha
fatto durante l’ultimo incontro col presidente francese Hollande, a cui
ha detto testualmente: «Se questo Papa continua così, io torno nella
Chiesa».
Non c’era motivo per dirlo, e non c’erano vantaggi da
trarne. È stata solo una considerazione privata, fatta durante la fase
riservata di un incontro con un altro leader, che peraltro non ha
connessioni particolari col Vaticano. Chi lo ha conosciuto, insomma,
comincia ad aspettarsi che Raul stia davvero riscoprendo la fede, e
magari potrebbe anche riconoscerlo pubblicamente, una volta che avrà
terminato il suo mandato presidenziale.