martedì 22 marzo 2016

La Stampa 22.3.16
A Lesbo l’attesa diventa caos e ora i profughi sono detenuti
Documento Onu: dopo l’identificazione nessuno può lasciare i campi
di Niccolò Zancan

Confusione totale, qui dietro ai cancelli chiusi del nuovo «hot spot» di Moria. Un nome che non spiega niente. Punto di crisi, vorrebbe dire. Nel concreto, dopo le pratiche di identificazione, i richiedenti asilo politico sono messi «in detenzione». Una zona di container, delimitata da reti e filo spinato, da cui non possono uscire in attesa di risposta. Al punto che, quando un ragazzo siriano si sente male - è la notte fra domenica e lunedì - i poliziotti greci non sanno cosa fare. Chiamano i dottori di Medici Senza Frontiere perché intervengano all’interno del campo. Ma loro vogliono che il ragazzo sia visitato in ospedale. E solo dopo varie telefonate e consultazioni, finalmente riescono ad andare.
La definizione «detention center» è usata ufficialmente. Ieri c’è stato un vertice ad Atene fra le forze di polizia e l’Unhcr, l’agenzia per i rifugiati dell’Onu. Ed ecco quello che dice un documento riservato, redatto alla fine dell’incontro: «Il nuovo regime verrà amministrato attraverso i centri di detenzione. Ci sarà la possibilità di chiedere asilo solo nelle prime 48 ore, altrimenti si verrà considerati irregolari. A partire dal 20 marzo il principio è che chiunque arrivi è restituibile alla Turchia sulla base della presunzione che sia un Paese terzo sicuro. Il quadro giuridico che autorizza la Grecia a farlo esiste già. Ma non è mai stato utilizzato fino ad oggi, e non è chiaro come verrà messo in pratica». Sono tante le cose poco chiare. Per esempio, non c’è distinzione per i minori non accompagnati. Che - come viene rimarcato - non dovrebbero essere in «regime di detenzione» ma in regime di «custodia protettiva». Il documento prosegue così: «Non è chiaro chi gestirà questi nuovi centri. Se polizia, esercito, ministero dell’Interno, Migrazione. Non è chiaro quali ong continueranno ad avere accesso. Inoltre non abbiamo avuto risposte su cosa succeda alle persone quando arrivano sulla terraferma. Molte delle nostre domande sono ancora in attesa di risposta».
Nel giorno in cui è entrato in vigore il nuovo accordo sui migranti, un pattugliatore della marina militare turca incrocia avanti e indietro fino a diventare parte integrante dell’orizzonte. Solo 54 profughi sono riusciti ad arrivare ieri, contro gli oltre 700 del giorno precedente. Il quadro è caotico, tutti corrono da qualche parte. Il riassunto statistico è questo: 4500 profughi sono stati trasferiti ad Atene come parte del vecchio mondo - in totale sono 50 mila i migranti che ristagnano in Grecia - mentre 930 sono già dietro ai cancelli dell’hot spot di Moria come avanguardia del mondo nuovo.
Alle tre del primo pomeriggio di primavera, in quello che era l’accampamento dei pachistani e degli afghani, c’è Ayesha Keller che parla ai nuovi volontari appena arrivati a Lesbo. Ha 26 anni, di Edimburgo, lavorava in Svizzera nel settore «sviluppo business» di una società finanziaria. È scappata per cercare un’altra vita. «Cercavo umanità», dice. Adesso sta facendo il riassunto della situazione: «L’unica cosa chiara è che non sappiamo niente. Le informazioni cambiano di ora in ora. Spesso sono in contraddizione fra loro. È tutto estremamente confuso. Lo è per noi, così come per la polizia, così come per i profughi. Cerchiamo di aiutarli, almeno con un sorriso. Seguiamo l’evolversi della situazione, ora dopo ora. Oggi sono arrivate solo due piccole barche. È evidente che i turchi stanno cercando di fare vedere che controllano la costa. Ma appena andranno via i media, la situazione tornerà quella di prima».
Sul lungomare di Metilene, qui a Lesbo, qui in Europa, c’è un molo intero dedicato alle barche usate dai trafficanti di uomini. Gommoni, vecchi motoscafi riadattati, pescherecci, una nave turistica. Ma quello che lascia senza fiato è un vecchio imponente yacht che si chiama «Il delfino». Era carico di 300 persone, donne e bambini, quando è stato intercettato poco fuori dal porto, un mese fa. Viaggiava senza pilota, con il motore bloccato sul comando «avanti tutta».