La Stampa 21.3.16
Atene frena sui rimpatri “Ci serve più tempo”
A Lesbo mancano interpreti, pc, impiegati. E gli sbarchi continuano
di Niccolò Zancan
Mancano
le fotocopiatrici. Mancano computer e interpreti. Mancano impiegati
capaci di trattare una questione delicata come il diritto d’asilo.
«Servono più di ventiquattrore per attuare il nuovo piano di rimpatrio
dei migranti» dice il coordinatore del governo greco per le politiche
migratorie, Giorgos Kyritsis. E qui, alla frontiera fra Europa e
Turchia, si capisce bene il motivo: mentre tutti si davano da fare per
cercare di svuotare l’isola dai profughi trattati con le regole
precedenti, caricandoli su due enormi traghetti fatti arrivare apposta
da Atene, altri 874 profughi sbarcavano su gommoni e vecchi pescherecci
mandati in mezzo al mare dai trafficanti di uomini turchi. Era l’alba
del nuovo corso? «Non ancora», spiegava un poliziotto davanti al centro
di identificazione di Moria. «Cercheremo di far partire anche loro. Da
lunedì inizieremo con le nuove regole».
Da oggi, quindi. Lunedì 21
marzo. Nuove regime, nuova epoca. Almeno formalmente. Perché quello che
ti dicono tutti, appena si assicurano l’anonimato, è meno categorico:
«Non abbiamo ancora idea di come verrà attuato il piano dei rimpatri».
Da oggi chi sbarca a Lesbo, riuscendo ad aggirare i controlli della
guardia costiera turca - che dovranno essere intensificati, così come
prevede l’accordo -, avrà solo due scelte possibili. Chiedere asilo
politico in Grecia, attendendo l’esito della domanda all’interno del
nuovo centro di identificazione. Oppure tornare in Turchia con la
qualifica di «migrante illegale». Ma come? Con quali navi verrà «spinto
indietro»? E come si potranno respingere centinaia di famiglie con
bambini piccoli, che rappresentano la maggioranza degli arrivi. Cosa
verrà detto loro?
Anche Anthi Karangeli, responsabile del nuovo
«hot spot» in costruzione qui a Lesbo, prende tempo: «I rimpatri
incominceranno dal 4 aprile». Questo significherebbe riuscire a dare le
prime risposte alle domande di asilo politico nel giro di due settimane,
quando fino ad adesso servivano mesi, se non anni. Ma soprattutto,
significherebbe capire nel frattempo come verranno eseguiti
concretamente i rimpatri. Perché questo nuovo piano voluto dall’Unione
Europea possa reggersi in piedi, tutto dovrà funzionare rapidamente.
La
capienza del nuovo «hot spot» dell’isola è di 2000 posti. Con altre
notti da 800 sbarchi, farà in fretta a riempirsi. Se Lesbo in questi
mesi non è saltata in aria, è solo per la straordinaria disponibilità
dei suoi residenti. Mytilene, una cittadina da 35 mila abitanti, ha
visto passare 500 mila profughi in un anno. Il centro di Moria, ora
trasformato in «hotspot», è stato replicato su altre colline, in mezzo
al porto, nei giardini comunali, ovunque, con altre tende e molta
improvvisazione. Solo gli accampamenti ufficiali sull’isola, fino a
ieri, erano quattro. Con tutto l’indotto: baracchini, venditori di
schede telefoniche, venditori di legna, tassisti dedicati. Ma quella era
l’epoca in cui i profughi erano liberi di muoversi. I centri erano
aperti. Li vedevi negli alberghi, li incontravi ai ristoranti. Adesso
tutto questo non è più possibile. Chi arriva, dovrà stare dentro l’«hot
spot» di Moria sotto il controllo della polizia greca, e la supervisione
dell’Unhcr.
Francia e Germania si sono impegnate a mandare in
Grecia 600 agenti esperti in diritto d’asilo. Il governo greco ha
annunciato nuove assunzioni negli uffici che dovranno vagliare le
domande. La scommessa è sostituire il cuore con l’efficienza. Tutto
questo, a partire da oggi, nel giro di due settimane. L’Unione Europea
ci riuscirà?