martedì 1 marzo 2016

La Stampa 1.3.16
Quando disertore non fa rima con traditore
Per paura, per aiutare i parenti a casa, per amore o ideologia: una ricerca di Mimmo Franzinelli negli archivi militari per scovare le ragioni e le storie (spesso tragiche) di chi fuggì dalla Seconda guerra mondiale
di Enrico Martinet

Contrappasso e paradosso. Per il duce e per un generale-politico. Benito Mussolini che, da convinto ideologo della diserzione come «mezzo infallibile per annientare l’infame militarismo», diventa un convinto assertore della guerra, irride le «democrazie», condanna senza appello pacifisti e obiettori di coscienza e pretende la morte per i disertori. E Luigi Chatrian, valdostano, che come comandante della 227a divisione di stanza a Castrovillari (Cosenza) ordina la fucilazione per diserzione di cinque soldati il 9 settembre 1943, nonostante l’armistizio, e dopo il conflitto diventerà presidente degli Orfani di guerra. Gli orfani che lasciò lui non ebbero riconoscimento prima del 1968, a conclusione di un lungo processo. Chatrian, così potente da riuscire a mantenere lo stipendio da generale e da sottosegretario alla Guerra di tre governi, finora era ricordato dai suoi biografi come «cristiano, cattolico esemplare». Verità scomode, pagine nere di una tetra guerra, scovate in anni di ricerche negli archivi militari dallo storico Mimmo Franzinelli, che insegna diritto e economia in Val Camonica. «Sconvolgente», dice.
Fuciliazione alla schiena
Franzinelli ha scritto Disertori (Mondadori, pp. 388, € 22) attraverso documenti e testimonianze, aprendo un sipario su vicende e dolori inediti. «Carne e ossa, storie di vita e di morte che mi hanno indignato, commosso, provato», dice. Per paura, vigliaccheria; per tornare a casa e aiutare chi moriva di fame; per amore; per spirito banditesco e avidità di denaro: sono alcune delle ragioni della diserzione scovate negli archivi. Poi c’è la politica, l’ideologia.
Come i due fratelli Amaury e Egone Zaccaria di Fiume, antifascisti, che disertano nell’estate del 1940 e diventano agenti segreti inglesi: i servizi britannici li addestrano al Cairo e a Malta. Prima missione 1941. Vengono arrestati la notte del 9 ottobre 1942 sulla costa napoletana: hanno codici cifrati, una radio ricetrasmittente e una cifra enorme, 750 mila lire. Vengono condannati a morte. Entrambi scrivono al re. Egone firma una lunga lettera che finisce così «O grazia o morte». Con orgoglio chiede clemenza: «Non sono innocente per le leggi italiane... ma non ho assolutamente portato con nessuna azione mai danno all’Italia». Processo veloce che si conclude con la sentenza di «fucilazione nella schiena, previa degradazione». Egone e Amaury vengono sepolti al Verano sotto falso nome, condannati anche alla damnatio memoriae.
L’amnistia dopo vent’anni
Un diario d’amore, un’incredibile ingenuità nel dirsi colpevole di «passione amorosa senza limiti» salva dalla fucilazione Paolo Di Mitri, classe 1920, studente delle magistrali di Taranto. Viene condannato a dieci anni di reclusione. Negli atti del processo è rimasto il suo diario, scritto con inchiostro blu, e dedica della sua innamorata, Nina, studentessa di 18 anni: «Paolo, mio caro, tu sai come io amo di te tanto tanto. Tua Nina sembre (sic). 18/01/1942». Paolo chiederà ai giudici il riscatto: «Chiedo di essere destinato a reparti combattenti di fanteria». Desiderio esaudito. Addio Nina della steppa ucraina di Dnjepropetrowsk, ma salva è la vita. Paolo Di Mitri avrà la pena amnistiata il 9 marzo 1964. Dice Franzinelli: «S’interpreta la guerra degli italiani in Russia con chiave epica, leggendaria. Io mi sono imbattuto in tante storie di diserzione in cui i nostri soldati cercavano calore umano. La storia di Paolo è esemplare».
«Dite a Violetta che l’amo»
Le diserzioni, le oltre quattromila fucilazioni, le decimazioni di giovani in fuga dal fronte, fanno parte dei racconti tragici della Prima guerra mondiale. Ora irrompono anche nelle vicende della Seconda. Rivelano l’inatteso. «Come le diserzioni ancor prima che la guerra cominciasse», spiega Franzinelli. «I piemontesi, i liguri, i valdostani che fuggivano in Francia, terra amica». Si legge nel libro: «Le prime fughe sorprendono le autorità militari e politiche, incapaci di trovarvi spiegazioni razionali, mentre la propaganda di regime dipinge quella nazione come un’avversaria degli interessi italiani». Difficile quantificare il fenomeno diserzione. Dati certi ci sono soltanto fino al luglio 1943: circa 200 mila processi, di cui 40 fucilazioni, 24 ergastoli, 71 mila 307 condanne oltre i dieci anni di reclusione. Poi tutto aumenta, ma i dati si confondono, trovarli è un’impresa titanica. Si sa che uno dei grandi crucci di Mussolini, con la Repubblica di Salò, era proprio la diserzione.
Franzinelli è riuscito a ricostruire alcune storie dei condannati a morte rintracciando i familiari, oltre che leggendo gli atti dei processi. «Un’emozione molto forte come il caso di Cosimo Ricchiuti, studente che veniva da Ferrandina, Matera». Cosimo, artigliere, è un antifascista. Con la divisione Bergamo finisce a Spalato a combattere quella che definisce «una sporca guerra». Conosce Violetta, figlia di un comandante partigiano. Se ne innamora, ritrova in lei le sue idee e quando dopo un anno al fronte torna in licenza a Ferrandina confida al padre di «non voler più far parte degli invasori». Violetta gli indicherà una via di fuga e lui si unirà ai partigiani. Ma il massacro della sua banda proprio da parte degli ex commilitoni della «Bergamo» lo costringerà a costituirsi. E nonostante la volontà del presidente del Tribunale di salvargli la vita, sarà condannato alla fucilazione. Qualche ora prima di morire scriverà ai genitori: «Fate sapere a Violetta che il suo fidanzato è morto pronunziando il suo nome». Nella busta c’è la foto che Violetta gli diede il 25 febbraio 1943.