Corriere 1.3.16
La responsabilità politica del medico di campo nazista
di Andrea Nicastro
Forse
Hubert Zafke non ha mai spinto nessuno in una camera a gas. Dice che ad
Auschwitz curava solo i raffreddori delle altre SS come lui. Forse. Ma
per il nuovo orientamento della Giustizia tedesca anche questo ex
nazista ormai 95enne potrebbe essere colpevole dell’omicidio degli ebrei
uccisi durante i suoi mesi di servizio nel campo di sterminio.
Giuridicamente la questione è complessa. L’accusa segue l’esempio di un
primo processo del 2011 e parla di concorso in strage, di «funzione
accessoria, ma indispensabile» al reato. Insomma non importa se Zafke
non ha ucciso con le sue mani. Se si fosse rifiutato di curare le
guardie, se il cuoco non avesse cucinato, se il piantone si fosse girato
dall’altra parte, l’Olocausto si sarebbe fermato. Più che su un solido
concetto giuridico, i processi agli ultimi nazisti paiono una
dichiarazione politica di responsabilità collettiva. Tardiva forse,
proprio quando non c’è ormai quasi più nessuno da punire, ma comunque
importante. Come frattura con il passato e più ancora come testimonianza
davanti al futuro e a chi, con sopravvissuti e carnefici tra noi, pensa
di negare le atrocità hitleriane.
Settantadue anni fa, il giovane
Zafke aveva il suo ufficetto ad Auschwitz sulla strada che i
prigionieri ebrei erano costretti a percorrere per entrare nelle camere a
gas. E, forse, tra i tanti con la stella di David, il soldato vide
anche la piccola Anna Frank.
Ieri il medico di famiglia ha evitato
che Herr Zafke si presentasse a processo. «L’imputato non è
trasportabile perché affetto da eccesso d’ansia e pulsioni suicide». Più
esplicito ancora il figlio dell’ex nazista: «Mio padre è alla fine
della sua vita, lasciatelo in pace». Il giudice ha rinviato l’udienza al
14 marzo. Quel giorno ci sarà un perito del tribunale ad affiancare il
medico di famiglia. Due sopravvissuti, quasi altrettanto anziani,
aspettano la chiamata per poter testimoniare. Per non dimenticare.