martedì 1 marzo 2016

Corriere 1.3.16
La guerra di Xi al blogger «cannoniere»
Cancellati i post di un ex ufficiale critico con il presidente cinese. «I media devono rispettare il Partito»
di Guido Santevecchi

PECHINO Ren Zhiqiang è (era) uno dei blogger più popolari della Cina: 37 milioni di followers su Sina Weibo, l’equivalente in mandarino di Twitter, che qui è censurato perché portatore di valori occidentali. Ren viene dalla cosiddetta «nobilità rossa», il padre era viceministro negli anni ‘50, è stato ufficiale dell’esercito, poi si è dato con successo agli affari ed è diventato un idolo del web con esternazioni controverse e critiche sullo stato dell’economia e la società cinese. È politicamente scorretto e il suo soprannome è «Ren dapao», «Ren gran cannone», perché è una mina vagante e le spara grosse.
L’ultima cannonata l’ha mirata molto in alto: contestando la decisione del presidente Xi Jinping di stringere ancora il controllo sulla stampa. Per punirlo lo hanno cancellato dal web chiudendo i suoi account. La motivazione dell’Amministrazione del cyberspazio cinese: «Pubblicava costantemente informazioni che hanno creato un impatto malevolo».
L’ultima battaglia di «Ren gran cannone» è cominciata il 19 febbraio. Quel giorno Xi Jinping ha visitato in rapida successione la televisione nazionale Cctv , il Quotidiano del Popolo e la Xinhua , l’agenzia di stampa ufficiale. Il messaggio per tutti i redattori e direttori dei media statali è stato forte: «Adesione stretta ai valori del giornalismo marxista, guidare nel modo appropriato l’opinione pubblica, enfasi sulla pubblicità positiva, riflettere la volontà e il punto di vista del partito». Xi ha usato anche una frase vagamente poetica, una sua specialità: «Come le persone, i giornali hanno un nome, che è la loro testata, ma il cognome è sempre Partito».
Lo stesso giorno Ren Zhiqiang, ha reagito con un blog esplosivo, che diceva ai 37 milioni di seguaci sul web: «Quando i media sono leali in primo luogo al partito il popolo finisce in un angolo, abbandonato». E subito un’altra bordata: «Da quando il governo del popolo è diventato il governo del partito? Il denaro che spendono nella stampa viene forse dalle quote dei membri? Non si usa il denaro di chi paga le tasse per scopi che non servono i contribuenti». I due post sono stati rimossi rapidamente e poi Ren ha ricevuto anche un fuoco di insulti online. Passato qualche giorno, domenica sera la sentenza: chiusura del blog e cancellazione di Ren dalla Rete.
L’Amministrazione del cyberspazio di Pechino ha colto l’occasione per ricordare a tutti i blogger l’obbligo di «diffondere energia positiva», vale a dire niente di sgradito al potere. La stampa ha commentato che chiunque oltrepassa la linea tollerabile e tollerata deve affrontare le conseguenze, perché Internet non è una zona franca, tutti possono accedere ma poi «non c’è differenza tra gestire la società reale e quella virtuale».
Il caso di Ren e molti altri episodi fanno credere che in Cina sia in corso l’ultimo sforzo di Xi Jinping per affermarsi come il leader più potente dai tempi di Deng Xiaoping, se non di Mao Zedong. Nei documenti del partito Xi da qualche settimana è definito «lingdao hexin», il «centro della leadership», come Mao e come Deng. Decine di alti dirigenti, governatori di provincia e generali dell’esercito hanno espresso «assoluta lealtà» al presidente in un rituale che sembra mettere fine a quasi quarant’anni di quella leadership collettiva instaurata a Pechino per evitare il culto della personalità dei tempi peggiori di Mao. Un culto che sembra tornare: a dicembre il Quotidiano del Popolo aveva 11 titoli su Xi in prima pagina, 9 foto del presidente a pagina 2 e a pagina 3 un editoriale firmato Xi.
Però, qualcuno sostiene che tutte queste manovre di accentramento tradiscono anche l’insicurezza di Xi. Sono circolate voci di fronda soprattutto sul fronte economico, che non va troppo bene. Tanto che ai membri del partito è stato vietato di «discutere in modo indiscreto le politiche e gli indirizzi del centro rischiando di distruggere l’unità e minare la centralità del partito».