mercoledì 16 marzo 2016

La Stampa 16.3.16
Una decisione che assomiglia a un autogol
di Marcello Sorgi

La decisione di Giorgia Meloni di aggiungere la sua candidatura a sindaco alle due già annunciate (Bertolaso e Storace; per non dire tre, con quella di Marchini) fa definitivamente deflagrare il centrodestra. A Roma e sul piano nazionale, si possono già annotare le prime conseguenze: prima, la partita per il Campidoglio a questo punto, si giocherà tra Pd e M5s. Il movimento di Grillo ha già un posto assicurato al ballottaggio e una seria ipoteca sulla conquista del comune della Capitale, dato che il candidato renziano Giachetti potrà recuperare solo una parte dei voti della sinistra radicale, che al primo turno si presenta con Fassina, e al secondo potrebbe defluire in parte verso l’astensione, mentre la candidata 5 stelle Raggi gode di simpatie a destra e potrebbe conquistare un pezzo di elettorato berlusconiano e meloniano in libera uscita verso il voto di protesta.
La seconda conseguenza è la rottamazione di Berlusconi, decisa per le vie spicce da Salvini con l’appoggio di Meloni, che corre sapendo di avere la quasi certezza di una sconfitta, ma accettandola pur di non sottomettersi all’ex-Cavaliere. Un’imprevedibile nemesi accompagna verso l’uscita di scena l’uomo che ventitré anni fa costruì a sorpresa il centrodestra (anche se con Berlusconi, mai dire gatto se non ce l’hai nel sacco): le comunali di Roma del 1993, con quella dichiarazione a sorpresa dell’ancora soltanto tycoon delle tv private a favore di Fini che si candidava contro Rutelli, costituirono l’atto di nascita della coalizione dei moderati e la definitiva legittimazione dell’allora segretario del Msi. Così finisce nella Capitale la storia che qui era cominciata.
Terza conseguenza: la rottura romana non è affatto destinata a restare locale. Le conseguenze possono andare da un minimo a un massimo: per dire, da una sconfitta generalizzata nelle amministrative, a una rapida e vendicativa crisi nelle due amministrazioni regionali a guida leghista in Lombardia e Veneto. Chissà se Salvini, tutto preso dalla sua svolta populista, in linea con i partiti anti immigrati che stanno vincendo in Europa, se ne preoccupa o no.