La Stampa 13.3.16
Russia, dove gli avversari vanno in Siberia
di Antonio Maria Costa
Quando,
poco prima di Natale, Grigorii Bedzhamov, presidente della federazione
russa di bob, sparisce da Mosca, inizia un intrigo sportivo inconsueto
in un Paese che ama l’agonismo invernale. Recentemente il giornalista
americano Patrick Reevell ne scopre le tracce a Monaco, dove al porto è
ancorato uno yacht di 70 metri (da 50 milioni di dollari) di proprietà
dello scomparso: l’intrigo diviene finanziario. Successivamente la
polizia arresta sua sorella Larisa Markus, presidente della
Vneshprombank, accusata di bancarotta fraudolenta per un buco di
bilancio di 2,5 miliardi di dollari. L’intrigo muta in politico: tra i
clienti della banca ci sono industrie di Stato e oligarchi vicini al
potere - per esempio Nikolai Tokafrev, già agente del Kgb in Germania al
tempo di Putin.
In Occidente, il caso di Bedzhamov è considerato
sintomatico in un Paese che non riconosce democrazia e stato di diritto
come fondamenta politiche, né integrità e concorrenza come principi
economici. In Russia il caso è piuttosto orgoglio nazionale ferito. Il
presidente Putin, che ha elevato il successo nello sport, insieme alla
politica estera e agli interventi militari, a simbolo della rinascita
del Paese, non può permettere che le avventure di un allenatore
sportivo, ora latitante, influenzino le elezioni di settembre,
minacciando il partito al potere, Russia Unita.
Il malgoverno che
ha permesso l’arricchimento della famiglia Bedzhamov non è un privilegio
esclusivo della Russia odierna - dove l’Ocse stima la corruzione a 25%
del prodotto lordo, mentre la Banca Mondiale la pone al 48%. La
privatizzazione selvaggia è stata ereditata dalla presidenza di Boris
Eltsin. Negli Anni 90 infatti, prestiti privati concessi al governo come
controparte di quote in aziende di Stato, trasferisce la proprietà
delle imprese ex sovietiche a un pugno di amici del Cremlino: tra essi
Boris Berezovsky (ora deceduto), Alexander Smolensky, Mikhail
Khodorkovsky, Mikhail Fridman e Vladimir Potanin. Rapidamente, i
neo-milionari diventano miliardari speculando sul differenziale del
prezzo domestico delle materie prime rispetto ai mercati mondiali.
Quando
il presidente Putin entra in scena nel 2000, sigla un accordo con gli
oligarchi: in cambio di un’assoluta lealtà, permette loro di mantenere
affari e ricchezza. La maggior parte si allinea; chi si oppone, per
esempio Mikhail Khodorkovsky, finisce in Siberia. Emergono nuovi
oligarchi - Roman Abramovich, Oleg Deripaska, Mikhail Prokhorov e Vagit
Alekperova - con conseguenze prevedibili. Il divario di reddito in
Russia aumenta vertiginosamente: le 110 famiglie più benestanti
possiedono la metà della ricchezza privata, le aziende in loro mano
producono un terzo del reddito nazionale. Mosca, capitale mondiale dei
miliardari, diventa un centro di riciclaggio: quasi 500 miliardi di
dollari da quando Putin è al potere.
L’arricchimento basato sullo
sfruttamento delle risorse naturali ostruisce lo sviluppo
dell’industria. L’economia continua a dipendere da gas e petrolio, che
generano metà del bilancio federale e la maggior parte del reddito da
esportazioni. Il sistema produttivo, e poi quello sociale, entrano in
crisi quando il crollo del prezzo degli idrocarburi riduce le spese
sanitarie, dimezza le riserve valutarie e azzera i fondi sovrani dai
quali Putin attinge per finanziare gli interventi in Ucraina e in Siria.
Alla crisi economica si sovrappone quella demografica. Nel secolo
scorso la Russia ha affrontato le conseguenze della rivoluzione (4
milioni di morti), la collettivizzazione di Stalin (2 milioni), e la
guerra mondiale (13 milioni). In qualche generazione, bassa natalità e
aspettativa di vita a soli 67 anni (15 meno dell’Italia), ridurranno la
popolazione russa a cento milioni, un terzo in meno dell’attuale.
La
Russia di Putin è meno atipica di quanto si possa pensare. La stessa
triplice preoccupazione - malgoverno, crisi economica e de-popolazione -
caratterizza altri Paesi, alcuni in Europa. Auguriamoci che la
convergenza di comportamenti che si sta delineando in Siria, possa
diffondere il sentimento che anche i problemi nazionali si possono
affrontare sulla base di interessi comuni ed esperienze reciproche.