La Stampa 12.3.16
Il Colle teme la crisi del centrodestra. Troppo spazio per i populismi
Il presidente Mattarella aveva già espresso preoccupazione per la pericolosa “radicalizzazione delle opinioni pubbliche”
di Francesco Bei
La
lenta ma apparentemente inarrestabile eclissi della leadership
berlusconiana inizia a preoccupare il Quirinale. Come d’abitudine, il
Presidente non entra nella mischia tra partiti, eppure quel campo di
Agramante in cui si è trasformato il vecchio centrodestra è da giorni al
centro delle sue attenzioni.
Nei colloqui privati con vari
esponenti politici e istituzionali, il Capo dello Stato non ha fatto
mistero di quale sia il suo cruccio. Un sistema politico democratico per
funzionare ha bisogno infatti di due polmoni, la destra e la sinistra. E
se uno dei due collassa, è l’intero organismo a entrare in crisi.
Proprio quello che sembra stia avvenendo nello schieramento che una
volta si radunava obbediente sotto le insegne del Cavaliere.
L’anziano
leader sembra sempre più disinteressato alla vicenda politica. Quando
interviene lo fa in ritardo, spesso solo per provare a parare i colpi
contundenti di un arrembante Matteo Salvini. Le truppe forziste sono
allo sbando, i parlamentari non sanno cosa fare, gran parte dei gruppi
dirigenti pensano a come ricollocarsi all’ombra di Renzi. Lo spettacolo
finale offerto dal centrodestra a Roma ha sconcertato Mattarella. Un
suicidio politico collettivo di tale proporzioni ha pochi precedenti,
con il moltiplicarsi di candidature, il caos intorno alla figura di
Bertolaso, i veti reciproci.
Il Presidente della Repubblica è
convinto a questo punto che il dissolvimento in corso della destra
italiana non sia un affare che riguardi soltanto gli elettori e i leader
di quella parte politica. Riguarda l’Italia. Chi ha avuto modo di
raccoglierne le confidenze riferisce un aneddoto, legato alla storia
recente della Repubblica, che Mattarella usa per spiegare le ragioni
della sua preoccupazione. Quando nel 1989 cadde il muro di Berlino, il
Pci si avvitò in una lunga crisi d’identità che lo distolse dal ruolo
d’opposizione e lo fece ripiegare tutto al proprio interno. Anche
allora, e per un lungo periodo, venne meno uno dei due polmoni e
l’organismo iniziò a deperire. «Fu un danno anche per noi
democristiani», ricorda in privato il Capo dello Stato. Paradossalmente
fu l’inizio della fine anche per la Dc, abbarbicata a un potere
ministeriale senza più controlli, destinato di lì a poco a essere
abbattuto dai colpi delle procure. Un periodo che Mattarella rammenta
benissimo per averlo vissuto da protagonista, nelle postazioni avanzate
di ministro dei Rapporti con il Parlamento (fino al fatidico 1989,
appunto) e poi da ministro della Pubblica Istruzione.
Non è
ovviamente il timore di una nuova stagione di Mani Pulite che assilla il
Capo dello Stato. Quanto un rischio sistemico legato al venir meno di
uno dei due perni dell’asse sinistra-destra. E siccome il vuoto in
politica non esiste e viene subito riempito, lo spazio dell’opposizione
lo stanno occupando per intero il Movimento cinque stelle e quella parte
del vecchio centrodestra che ormai guarda, con Matteo Salvini, a Le
Pen, Orban, Putin e a tutta la galassia di estrema destra europea. Una
traiettoria che spinge il centrodestra italiano lontano dalla famiglia
del Ppe nelle braccia del populismo più deteriore. Berlusconi non sembra
più in grado di fare argine.
E quanto Mattarella consideri questa
prospettiva disastrosa non è un mistero. Il Presidente l’ha ripetuto
l’ultima volta lo scorso 11 febbraio, davanti agli studenti della
Columbia a New York. Quando ha denunciato la «radicalizzazione delle
opinioni pubbliche» europee di fronte alla crisi migratoria. E il
«rafforzamento di forze populiste e del loro messaggio solo
apparentemente seducente». Lasciare campo libero a queste forze non è un
problema solo di Berlusconi. Per il Quirinale è un problema
dell’Italia.