La Stampa 10.3.16
Erdogan, socio scomodo ma necessario
di Bill Emmott
C’è
qualcosa di profondamente inquietante nello stringere un accordo che
include miliardi di euro e numerose concessioni, con un Paese il cui
governo è diventato autoritario, al punto di aver appena messo le mani
sul maggiore gruppo editoriale di giornali per renderlo meno critico.
Eppure stringendo con la Turchia un accordo sui profughi l’Unione
europea sotto la guida di Angela Merkel sta facendo la cosa giusta.
Anzi, avrebbe dovuto farlo due, tre, perfino quattro anni fa.
Il
modo giusto, e più etico, di aiutare le persone costrette da un violento
conflitto a lasciare le loro case, è quello di dare loro sicurezza e
comfort il più vicino possibile a casa loro. Per gli 11 milioni di
persone fuggite dalla Siria questo significa una sistemazione nelle zone
sicure all’interno del loro Paese, oppure nei campi in Paesi confinanti
come la Giordania, il Libano e la Turchia.
Questo però significa
dare loro qualcosa di più di un tetto e del cibo. Significa fare il
necessario per permettere ai profughi, molti dei quali cacciati dale
loro case ormai quasi cinque anni fa, di vivere una vita il più
possibile normale: guadagnare un reddito, istruire i figli, formare una
comunità.
La stragrande maggioranza dei profughi siriani non vuole venire in Europa.
Vogliono
tornare a casa, in Siria, e se ciò non fosse possibile, di rimanere
vicino e restare con le loro famiglie e le comunità locali. La politica
dei Paesi europei, sia presi separatamente, sia dell’Unione, avrebbe
dovuto essere diretta proprio a raggiungere questo obiettivo. Invece, i
budget per gli aiuti umanitari sono rimasti magri quando non addirittura
ridimensionati. Nel frattempo la Giordania, il Libano e la Turchia non
hanno potuto, o non hanno voluto, permettere ai profughi che abitano nei
campi nei loro Paesi, di cercarsi un lavoro.
Non può stupire,
dunque, che i profughi che avevano denaro a sufficienza per pagare i
trafficanti umani, l’hanno impiegato per fuggire al loro sventurato
destino. E una volta che la cancelliera Merkel ha detto, l’anno scorso,
che sarebbero stati tutti accolti, non può stupire che molti altri
profughi sono stati incentivati a spendere i loro soldi e rischiare le
loro vite per raggiungere l’Europa.
Non è soltanto colpa
dell’Europa. Tutta la politica sui rifugiati delle Nazioni Unite è
datata, e considera il problema dei profughi come temporaneo, che
richiede soltanto aiuti umanitari, e non come un problema destinato a
durare nel tempo, come spesso accade. Ma l’Unione Europea è una delle
regioni più progredite, ricche e intelligenti del mondo. E quando si
scontra con una instabilità così diffusa in tutto il Mediterraneo, dalla
Siria alla Libia e altre regioni del Medio Oriente e del Nord Africa,
deve mostrare di affrontare la crisi dei migranti e dei profughi con un
senso di leadership e innovazione.
La storia degli ultimi due anni
è la testimonianza del fallimento dell’Europa: non è riuscita a dare
prova non solo di leadership e innovazione, ma anche di solidarietà. Ha
cercato di reagire in un modo molto parco, facendo ogni volta il minimo
necessario. Un approccio che ha funzionato, più o meno, nella crisi
dell’euro. Ma ha fallito miseramente quando è arrivata la crisi dei
migranti.
Ecco perché il nuovo accordo tra l’Ue e la Turchia segna
un cambiamento importante, un momento potenzialmente di svolta. La
Turchia è senz’altro un Paese poco simpatico e ricattatorio. Ma nemmeno
il Libano è un interlocutore perfetto, e anche la Giordania ha i suoi
difetti. Non abbiamo altra scelta che di trattare con questi Paesi,
perché è lì che si trovano i principali campi profughi.
I dettagli
dell’accordo Ue-Turchia possono venire messi in discussione,
soprattutto per quanto riguarda il ritorno dei richiedenti asilo e la
sua compatibilità con il diritto internazionale. Ma la soluzione va
nella direzione giusta e va seguita ed estesa ad altri Paesi che
ospitano campi profughi, oltre che probabilmente raddoppiata nella
portata e nei costi. L’obiettivo dell’Ue deve essere quello di rendere
la vita nei campi profughi il più possibile vicina alla normalità, il
che significa anche incoraggiare le società europee a investire in zone
industriali nei pressi dei campi profughi, per creare lavoro e dislocare
la produzione.
L’alternativa è assistere al flusso dei profughi
verso l’Europa che raddoppia ogni anno. E’ fastidioso e per certi versi
disgustoso stipulare accordi con la Turchia pur di evitarlo. Però è
giusto farlo.