giovedì 10 marzo 2016

Il Sole 10.3.16
L’intesa con l’Europa
La Turchia «vicina» ma mai così lontana
di Alberto Negri

L’opportunismo, altrimenti detto realpolitik, genera paradossi. Più la Turchia si allontana da standard democratici, con una sorta di “golpe bianco” che fa tabula rasa di media e opposizione, e più Ankara si avvicina a Bruxelles che premia Erdogan per tenersi due milioni e mezzo di profughi. A sancire la svolta per salvare l’Unione è stata la Germania di Angela Merkel, il Paese che insieme alla Francia aveva relegato la Turchia nella sala d’aspetto dell’Europa.
Per altro lo stesso governo islamico dell’Akp oggi non è neppure troppo interessato a varcare la soglia europea: dopo gli anni delle riforme Erdogan ha scelto la via dell’autoritarismo. Per lui l’Europa è un taxi da cui salire e scendere. L’apertura sui visti sta scatenando l’entusiasmo popolare necessario a rafforzarlo e dopo avere vinto le elezioni di novembre punta alla repubblica presidenziale. È questo il suo vero obiettivo: restare in sella fino al 2023, centenario della repubblica fondata da Ataturk sulle rovine dell’impero ottomano.
Perché in Turchia non riescono a prevalere democrazia e laicità? Ahmet Insel, politologo ed editore del premio Nobel Orhan Pamuk, prova a rispondere: «Bisogna fare i conti con la “guerra civile” culturale che affligge il Paese, combattuta su tre fronti: etnico, religioso e identitario. In tutti e tre i casi, il presidente turco si colloca stabilmente dalla parte della maggioranza conservatrice che è ancora egemone nella società».
L’Europa può attendere perché sotto ricatto di questa Turchia. Si può pensare che l’opportunismo di Erdogan sia indecente ma gli europei si sono mai opposti? E anche gli Stati Uniti non hanno fatto nulla, limitandosi a rifiutare una “zona cuscinetto” ai confini con la Siria, dove Erdogan avrebbe voluto cacciare i profughi in esubero e spezzare le linee dei curdi siriani ritenuti “terroristi” al pari del Pkk.
Ma non è poi così vero che Erdogan sia vincente su tutta la linea.
La sua è una partita complessa, l’alleanza nella Nato oscillante, il Paese è spaccato, il terrorismo sempre in agguato, la carta anti-curda alimenta un nazionalismo esasperato mentre i turchi, come gli arabi, hanno dovuto ingoiare l’accordo che ha sdoganato Teheran. Anzi forse l’atteggiamento complice di Europa e Stati Uniti deriva dal fatto che deve digerire la sconfitta più grossa: la permanenza al potere di Assad, il più clamoroso errore di politica estera degli ultimi anni. L’errore di calcolo è stato di Erdogan ma anche delle monarchie del Golfo, Arabia Saudita in testa, degli europei e degli americani: è stato l’ex segretario di Stato americano Hillary Clinton a incoraggiare il presidente turco ad aprire “l’autostrada della Jihad”, sono stati Paesi europei come la Francia a puntare sulla caduta di Assad, chiudendo gli occhi sull’autoritarismo di Erdogan. Il presidente turco non è uno stinco di santo ma ha parecchie cose da raccontare sui leader europei che non possono fare gli scandalizzati, con l’eccezione forse di Matteo Renzi che non era della partita quando decidevano di rifare la mappa del Medio Oriente con i soldi del Golfo e l’attiva compiacenza della Turchia. Fallito il progetto, Erdogan si è rivolto all’Unione usando i rifugiati per mercanteggiare. Ha deluso ma non si può osteggiarlo apertamente: è ancora utile, come lo erano i raìs di una volta, alla Saddam e alla Gheddafi.