giovedì 10 marzo 2016

La Stampa 10.3.16
Renzi sfugge al caso primarie
di Federico Geremicca

C’è qualcosa di paradossale nella circostanza che l’istituto delle primarie stia vivendo la sua crisi più seria proprio nel momento di massimo potere del leader che può, a buon titolo, esserne definito il «campione»: e cioè Matteo Renzi. E c’è qualcosa di seriamente incomprensibile, invece, nel fatto che quel «campione» non batta ciglio di fronte alle cronache degli ultimi giorni.
E accetti, con indifferenza o con rassegnazione, questa sorta di crepuscolo della partecipazione, fatto di voti comprati e affluenze gonfiate.
Telefonate di complimenti ai vincitori, e sul resto una scrollata di spalle: come se la cosa non fosse importante o non lo riguardasse. Fatte le giuste differenze, è come se il vecchio partito radicale di Marco Pannella ed Emma Bonino avesse supinamente accettato - ai tempi d’oro - lo smantellamento dell’istituto referendario; o se Silvio Berlusconi - quando era il Cavaliere - avesse rinunciato alle televisioni come fidate e potenti compagne di battaglia.
Vedremo se e come il segretario-presidente deciderà di spendere una parola: per ora, in verità, la sua rassegnata prudenza - ai limiti dell’assenza - ricorda l’atteggiamento del famoso tizio che sega il ramo sul quale è seduto. Infatti, a parte tutto il resto, proprio le primarie da lui vinte l’8 dicembre del 2013 rappresentano ancor oggi - in fondo - la sua assicurazione sulla vita: impedendo che colpi di mano, cambi di maggioranza e giochi di palazzo possano rovesciare una segreteria a lui assegnata da milioni di cittadini.
Non fosse che per questo, dopo i fatti di Napoli e di Roma da Matteo Renzi si attendono parole di severità e di chiarezza: anche se è evidente che non è solo questo - e cioè l’interesse politico-personale del premier - ad esser in gioco in queste ore. La scelta frettolosa e burocratica di respingere e archiviare il ricorso di Antonio Bassolino perché presentato fuori tempo massimo (24 ore) non è un buon viatico per un partito che punta a riconquistare la terza città d’Italia. E certi balbettii intorno al numero effettivo dei votanti alle primarie di Roma, consolidano un quadro con poche luci e molte ombre.
Per il partito democratico ed il suo segretario, insomma, sembra davvero venuto il momento di una scelta. E il bivio che hanno di fronte non è difficile da individuare: da una parte c’è la regolamentazione per legge dell’istituto delle primarie, dall’altra l’agonia (voluta?) di uno strumento di partecipazione che, così continuando, non potrà che finire rottamato e stipato in qualche cantina. Da un po’ di anni a questa parte, del resto, i costi politici di certe primarie sono, per il Pd, nettamente superiori ai benefici.
Non è nemmeno necessario tornare alla Napoli delle primarie 2011, con le file di cinesi, l’ombra della camorra, la consultazione annullata e la città consegnata a De Magistris. Basta ripensare alla sfida ligure e all’addio di Cofferati, o ad alcune contestatissime primarie siciliane. Ma anche a Milano - dove pure tutto è andato per il meglio - certi annunci di queste ore (la non candidatura di Francesca Balzani, sfidante di Sala) lasciano intravedere eredità velenosissime.
A tutto questo va aggiunto, naturalmente, il pesante handicap politico che grava sul candidato uscito vincente da primarie opache: un regalo agli avversari (i Cinque Stelle hanno già cominciato) che potranno fare una campagna elettorale sull’onda di slogan del tipo «ha truccato e comprato le primarie, figuratevi cosa farebbe da sindaco della città...». Ce ne sarebbe a sufficienza per non continuare a sottovalutare un problema ormai ineludibile, e il Pd ha infatti convocato una riunione di Direzione per discutere il da fare: vedremo.
Infine un’ultima questione, che sarebbe troppo facile archiviare sotto il titolo «retorica politica»: quanto favoriscono, simili vicende, il moltiplicarsi della disaffezione dei cittadini? Non è né ingenuo né retorico porre un simile interrogativo: soprattutto ad un partito che risponde alle inevitabili accuse di Beppe Grillo con il solito «voi fate un clic, noi portiamo la gente a votare». E’ vero, loro fanno un clic. Ma si faccia attenzione: perchè a furia di primarie così, gli iscritti e i militanti finiranno per restarsene a casa. E a quel punto, purtroppo, a chi vorrà partecipare non resterà che un asettico e incontrollabile clic.