Il Sole Domenica 27.3.16
Charlotte Brontë (21 aprile 1816 – 31 marzo 1855)
Donne che non immaginate
Il bicentenario è l’occasione per rendere giustizia a un’autrice moderna e indipendente che fu vittima del suo secolo
di Elisabetta Rasy
L’ultimo
film dal romanzo Jane Eyre è stato fatto nel 2011 da Cary Fukunaga, il
regista della serie iniziale di True Detective, il primo risale al 1910,
un cortometraggio muto diretto dal pioniere del cinema Theodore
Marston. In mezzo un numero considerevole di altre trasposizioni
cinematografiche , tra cui una, la più celebre, con Orson Wells del
1944, e da noi quella di Zeffirelli del 1996, oltre a una nutrita serie
di adattamenti per la televisione in vari Paesi europei. Ma Charlotte
Brontë, la sua autrice, non ne sarebbe affatto stupita: quando scrisse
Jane Eyre, nel 1846, a trent’anni, era convinta di scrivere un’opera
rivoluzionaria e di aver inventato un’eroina di un tipo nuovo affidata
al futuro, molto diversa dalle protagoniste dei romanzi scritti dagli
uomini, create «dalla loro stessa fantasia», artificiali «come la rosa
del mio cappello». E diversa anche dai personaggi femminili usciti dalla
penna di illustri colleghe, per esempio Jane Austen, che Charlotte non
amava molto. Se Orgoglio e pregiudizio è, come Jane Eyre, un altro
romanzo evergreen che gli contende il primato delle versioni
cinematografiche e televisive e che sfida audacemente i secoli, le due
protagoniste non potrebbero essere più diverse: la Elizabeth Bennett di
Austen è una ragazza intraprendente che naviga intelligentemente nei
valori della società del suo tempo: denaro, stato sociale, matrimonio.
L’istitutrice Jane, invece, mette in campo valori nuovi: lavoro
soprattutto e forza della passione, proponendo al lettore un’immagine di
inedita indipendenza femminile. In tutti i suoi quattro romanzi,
Charlotte dà voce a molte idee, ma una è quella portante: le donne non
sono come gli uomini se le immaginano. Lo fa dire esplicitamente dalla
protagonista di un’altra opera, Shirley: «Se gli uomini potessero
vederci come realmente siamo, sarebbero alquanto sorpresi».
Una
verità innegabile alla metà dell’Ottocento, ma tutt’altro che superata
all’inizio del terzo millennio. Anche per questo l’Inghilterra festeggia
con convinzione il bicentenario (21 aprile) della nascita della
intraprendente signorina Brontë, che tale – signorina – rimase fino a un
anno prima della morte, quando, ormai priva delle sorelle Emily e Anne,
accettò un tardivo matrimonio con un uomo che faceva lo stesso mestiere
del padre, il curato di campagna. Tra le tante iniziative per
ricordarla, una mostra alla National Portrait Gallery di Londra, con
manoscritti e ritratti, e una esposizione di oggetti personali e cimeli
famigliari nella casa museo Brontë Parsonage, ad Haworth, nello
Yorkshire, dove la scrittrice visse quasi tutta la vita. Mentre una
nuova biografia di Charlotte a opera della studiosa Lyndall Gordon, (Una
vita appassionata) viene pubblicata in Italia dall’editore Fazi, che in
occasione del duecentesimo compleanno ripubblica anche Il professore,
dopo aver riedito qualche mese fa Shirley .
La bibliografia sulla
più anziana e nota delle sorelle Brontë (benché il vero capolavoro, Cime
tempestose, l’abbia scritto Emily) è sterminata, a partire dalla prima
biografia scritta poco dopo la sua morte da un’altra intraprendente
scrittrice sua contemporanea, Elizabeth Gaskell, legata a lei da una
benevola amicizia. Ma la signora Gaskell aveva a cuore soprattutto
l’onore vittoriano e cercava di difendere la figura di Charlotte
dall’immagine non sempre lusinghiera che ne avevano dato gli scrittori
del suo tempo. Il critico e poeta Matthew Arnold, per esempio, l’aveva
descritta come «nient’altro altro che fame, ribellione e rabbia», e
anche William Thackeray, che pure la stimava, decise di non poter essere
suo amico: «Il fuoco e la furia che ardono quella piccola donna, la
collera che infiamma il suo cuore non fanno per me». Per questo la prima
biografa creò l’icona destinata a entrare nella mitologia Brontë,
quella di una «vita di desolazione», di una donna «passata per
sofferenze tali da averla privata di ogni scintilla di allegria». In
realtà – e su questo insiste il racconto biografico di Lyndall Gordon -
se è vero che la vita di Charlotte fu segnata da gravi sofferenze –
morte precoce della madre, perdita continua di familiari amati, problemi
di denaro e di solitudine –lei non ne fu piegata e vinta: era una
persona tutt’altro che desolata e invece molto appassionata e
determinata a emergere, ad affermarsi, a trasformare le proprie
sofferenze in materia d’ispirazione. Soprattutto decisa a dedicarsi a un
lavoro considerato poco adatto a una donna. All’inizio dei suoi
esperimenti letterari aveva cercato la protezione del poeta laureato
Robert Southey, ma lui le aveva scritto perentoriamente: «Signora, la
letteratura non può essere l’occupazione della vita di una donna». Lei
gli aveva risposto con l’apparente ossequio che un tipo del genere si
aspettava dalle signore, ma con sotterranea ironia che un occhio meno
conformista non poteva fraintendere: «Mi sono sforzata di assolvere
pienamente non solo tutti i doveri di una donna, ma anche di
interessarmi profondamente a essi. Non sempre ho successo, perché
talvolta, mentre insegno o lavoro di cucito, preferirei leggere o
scrivere, ma cerco di reprimermi…».
Comunque quando decise di
pubblicare scelse lo pseudonimo maschile Currer Bell, cognome che, con
altri nomi maschili, assunsero anche le sorelle Emily e Anne per firmare
i loro libri, essendo tutte e tre convinte che le autrici vengono
«spesso guardate con pregiudizio» e che «i critici si servono per
condannarle, dell’arma del loro essere donne, e per lodarle di
un’adulazione che non è vera lode». Ma anche quando il velo dello
pseudonimo cadde, Charlotte, malgrado le accuse di sfacciataggine,
continuò per la sua strada, raccontando cosa si prova a essere
un’istitutrice colta e povera in una casa di ricchi ignoranti e
maleducati, come si patisce a non poter esercitare pubblicamente la
propria intelligenza, quanto è frustrante non poter ambire a un lavoro
all’altezza delle proprie capacità e anche di quanta passione siano
capaci le donne seppure respinte da chi amano, come era successo a lei
travolta dal desiderio per un professore che aveva conosciuto durante un
periodo giovanile di studio a Bruxelles. Fedele alla sua nuova eroina:
la donna che lavora e che si costruisce la sua strada, non bella ma
tenace e soprattutto in rivolta contro le convenzioni dell’epoca.
Dopo
la sua morte il padre e il vedovo se ne spartirono l’ eredità, il padre
facendo con i suoi cimeli piccoli souvenir da vendere, il marito (che
si era velocemente risposato) nascondendo le lettere in cui il suo
spirito ribelle veniva allo scoperto. Ma il patrimonio lasciato da
Charlotte è riuscito eludere la stretta sorveglianza dei suoi
volenterosi custodi, e a circolare nei luoghi più imprevisti. Per
esempio recentemente in Pakistan: dove la Brontë Society ha tradotto la
sua guida in urdu per venire incontro al crescente interesse delle donne
pakistane, che trovano la loro condizione e i loro desideri molto
simili a quelli espressi da Miss Brontë nelle sue opere.
Lyndall
Gordon, Una vita appassionata. Vita di Charlotte Bronte , traduzione di
Nicola Vincenzoni, Fazi, Roma, pagg. 504, € 18. In libreria il 14
aprile.
Charlotte Bronte, Il professore , traduzione di Maria Stella, Fazi, Roma, pagg. 300, € 18