Il Sole Domenica 27.3.16
Easter rising
Irlandesi contro inglesi, 100 anni dopo
di Renzo S. Crivelli
«Metti
giù quel carro. Lascia stare, e fuori dai piedi!». Chi apostrofa un
tizio che cerca di riprendersi il suo carro usato dai patrioti
rivoluzionari per le barricate in una Dublino bloccata dall’Insurrezione
di Pasqua 1916, il cosiddetto Easter Rising, è un combattente degli
Irish Volunteers, la compagine armata che, unitamente ad altre
formazioni, come la Lega Gaelica e il partito indipendentista Sinn Féin,
ha da poche ore dato il via alla storica sollevazione contro gli odiati
inglesi “occupatori”. In effetti, quest’immagine è abbastanza
emblematica d’una sommossa del tutto velleitaria, eroica indubbiamente,
ma così satura di ideali da risultare priva di strategia e di
organizzazione. Una sorta di auto-immolazione di un gruppo di patrioti
(tra di loro vi furono poeti, teorici dei diritti umani e diplomatici,
dal sindacalista James Connolly allo scrittore Patrick Pearse al
“feniano” Sean McDermott), che riuscì a commettere — in circa una
settimana in cui “tenne” eroicamente un gruppo di avamposti tra cui il
famoso Ufficio Postale, cuore pulsante della città — un numero
incredibile di errori tattici.
Del popolano che va a riprendersi
il suo prezioso carro intorno a St. Stephen Green, il giardino a pochi
passi dalla centrale Grafton Street, parla uno dei maggiori scrittori
irlandesi degli anni trenta, James Stephens, autore di romanzi come La
pentola dell’oro o La figlia della donna a ore, amico di Joyce e da lui
stimato a tal punto che nel 1929 gli affidò il compito di terminare
Finnegans Wake nel caso in cui lui non ci fosse riuscito. Stephens si
aggira per la città in preda ai tumulti, tra uomini armati che si
muovono come allucinati, mentre i Volunteers s’impadroniscono di molti
edifici-chiave. E mentre le truppe inglesi, colte di sorpresa,
cominciano ad accerchiare tutti i punti di resistenza (tra cui il Post
Office, il Green, le Distillerie Jameson e la Fabbrica di biscotti
Jacob), e a far pesare la loro supremazia bellica (hanno parecchi
cannoni) forte anche dell’arrivo di rinforzi da Londra, da parte loro,
gli ammutinati sperano in un’improbabile insurrezione generale che possa
estendersi a tutto il Paese.
Stephens racconta la Rivoluzione di
Pasqua 1916 (24-30 aprile) con gli occhi di un cronista curioso — e
talvolta attonito — fornendoci un vero reportage degno degli uomini
della Cnn sui recenti fronti di guerra. Lo fa aggirandosi per le vie
senza badare alle pallottole che fischiano, e non risparmiandosi
constatazioni come quella del povero carrista (finito con una palla
“amica” in testa), a sottolineare l’assoluta mancanza di coinvolgimento
popolare. Nel suo resoconto, L’insurrezione di Dublino, ora tradotto per
la prima volta in italiano da Menthalia nel centenario commemorativo
d’un evento che ha avuto tanta risonanza non solo in Irlanda, assistiamo
ad episodi come il «lancio di mattoni, bottiglie e bastoni» contro i
Volunteers da parte dei dublinesi, a sostegno dell’arrivo dei Lancieri
inglesi (c’era chi gridava «Volete fare del male a quei poveretti?»).
Oppure troviamo descritto il saccheggio, da parte della folla, dei
negozi del centro, con il furto di scarpe, vestiti e…dolciumi. Questi
ultimi a rappresentare una sorta di toccante riappropriazione delle
delizie tanto agognate dalla povera gente («C’è qualcosa di comico nel
saccheggiare negozi di dolciumi — scrive Stephens — quasi innocente e
fanciullesco»).
La Rivoluzione di Pasqua 1916 fallì, come è noto,
tra i dubbi di molti intellettuali che non ne capirono le scelte
affrettate ma che, ciò nondimeno, ne cantarono l’epos (basti ricordare
Yeats, in una sua famosa poesia). Fallì proprio perché quel pugno di
eroi non seppe costruire intorno ad essa il consenso della gente comune,
puntando principalmente sull’impegno defatigante dell’Inghilterra nella
prima guerra mondiale (un’occasione di debolezza da sfruttare “a
caldo”, come ritenevano) ma dimenticando che in quel momento ben 300.000
giovani irlandesi stavano combattendo al fianco di Londra sulla Somme,
giovani che avevano madri e genitori in patria. E puntando anche su una
“fantasiosa” strategia di alleanza con il nemico germanico, indotto a
fornire persino una nave piena di armi («20.000 carabine, centinaia di
migliaia di munizioni e dieci mitragliatrici pesanti», come ricorda Tim
Pat Coogan nel suo 1916: The Easter Rising) che, per errori tecnici
puerili degli insorti, non riuscì a sbarcare un bel nulla sulle coste
del Kerry.
Nel centenario della sommossa in tutto il mondo
fioriscono Convegni (il primo in ordine di tempo, ad anticipare quello
dublinese all’University College previsto per il 26 e 27 aprile, si è
tenuto a gennaio all’Università di Roma 3), e quella controversa pagina
di storia viene ora riletta e reinterpretata dagli storici, sfrondata
dalle antiche oleografie. Perché se i cospiratori (tutti regolarmente
fucilati, meno le donne) fallirono militarmente, furono altresì
politicamente vittoriosi: innestando nell’agenda mondiale (e ancor più
nell’opinione pubblica inglese), la convinzione che il problema
dell’indipendenza irlandese dovesse essere ormai affrontato, una volta
per tutte.
James Stephens, L’insurrezione di Dublino , trad. di Enrico Terrinoni
e cura di Riccardo Michelucci, Menthalia, Milano, pagg. 125, € 12;
Tim Pat Coogan, 1916: The Easter Rising , Weidenfeld & Nicolson,
London, pagg. 179, £ 9,99