Il Sole Domenica 13.3.16
Teologia & sovranità
Shakespeare in Bruno
di Armando Torno
Tra
le commedie definite eufuistiche di Shakespeare (così chiamate perché
affini per tematica e scrittura all’opera Euphues di John Lyly, del
1579, di gusto manierista e ricca di figure retoriche) vi è Love’s
Labour’s Lost , ovvero Pene d’amor perdute. In essa si trova una scena
divenuta celebre per le sue zone d’ombra, una strana caccia al cervo,
commentata da due personaggi fuori dal comune (Oloferne e Nataniele),
con frasi indecifrabili che è quasi impossibile incontrarne di più
oscure nel resto della letteratura. È qui che inizia il percorso di
Gilberto Sacerdoti con il suo saggio dal titolo Sacrificio e sovranità,
appena uscito in una nuova edizione da Quodlibet di Macerata (dopo
quella di Einaudi del 2002) con una prefazione di Michele Ciliberto.
L’opera ritorna opportunamente e tratta di teologia e politica
nell’Europa di Shakespeare e di Bruno.
Non spetta a noi chiarire
gli esoterici significati che si celano nella scena oscura, ricordiamo
soltanto che se essa si pone a confronto con quanto scrisse il medesimo
Giordano Bruno nell’Inghilterra di Elisabetta I (chissà se la sovrana
assistette alla rappresentazione di Love’s Labour’s Lost nel Natale del
1597…), come fa appunto Sacerdoti, è possibile focalizzare uno dei
grandi problemi dell’Occidente tormentato dalle guerre di religione: la
fondazione della sovranità autonoma dello Stato secolare. Ciliberto
avverte che l’autore conduce la sua ricerca «sulla base di problemi
strettamente contemporanei», anche se essa resta «uno dei contributi più
importanti che siano stati scritti in questo periodo, attraverso la
messa a confronto, in una sorta di specchio, dei testi fondamentali di
Bruno e Shakespeare». La caccia al cervo è intesa come allegoria del
sacrificio di Cristo, la sua ripetizione allude alla celebrazione della
messa, contrariamente alla dottrina di Calvino che nega a essa carattere
sacrificale. Non si creda però che ci si trovi dinanzi a una riconferma
delle ragioni cattoliche: la messa non è celebrata da un sacerdote,
bensì da una regina, ovvero Elisabetta. Ecco il primo eventuale senso:
la scena allude alle ragioni politiche per le quali la funzione sovrana
non deve essere condizionata da quella sacerdotale. Una comparazione tra
il testo di Shakespeare e un’analoga scena che si trova ne Lo spaccio
della bestia trionfante di Bruno consente a Sacerdoti di individuare nel
testo del filosofo bruciato sul rogo a Roma la fonte della citazione
shakespeariana. Qui giunto l’autore di Sacrificio e sovranità inizia a
ricostruire le vicende teologico-politiche della sotterranea tradizione
alternativa all’abbraccio tra teologia scolastica e metafisica
aristotelica; e quest’ultima, va detto, ha dominato medioevo e non pochi
decenni moderni. Una corrente nascosta che ha i suoi riferimenti in
al-Farabi e Averroé (fonti di Bruno), in Maimonide e Pomponazzi, quindi
si manifesta in Hobbes e Bodin, teorici dello Stato aconfessionale,
soprattutto in Spinoza. Prima del quale la ricerca di Sacerdoti si
ferma, dopo aver parlato di roghi di libri, persecuzioni e anche di
tutte quelle faccende di cui si occupava - non delicatamente -
l’Inquisizione.
Gilberto Sacerdoti, Sacrificio e sovranità, Quodlibet, Macerata, pagg. 368, € 25