Il Sole 5.3.16
Intervista Franco Frattini ex ministro degli Esteri
«Il decreto era necessario»
Ma
serviva proprio quel Decreto del presidente del Consiglio dei ministri,
firmato da Matteo Renzi il 10 febbraio scorso per autorizzare l'invio
in operazioni speciali all'estero di militari delle forze speciali
equiparati agli agenti dell'intelligence?
Prima di rispondere
Franco Frattini, oggi presidente della Sioi ma alle spalle una lunga
carriera in Italia e a Bruxelles come vicepresidente Commissione Ue,
ministro degli Esteri, responsabile dei servizi e presidente del Copaco
ci tiene a fare una premessa. «Mi dispiace molto – osserva Frattini -
avere letto sui giornali i contenuti di quel decreto, capisco le
esigenze del diritto di cronaca ma ci sono cose che, nell’interesse del
Paese e della sua sicurezza, non possono essere divulgate perché
potrebbero finire nelle mani sbagliate».
Premesso ciò, secondo
Frattini «era assolutamente necessario il Dpcm perché il decreto di
rifinanziamento delle missioni all'estero del novembre 2015
rappresentava solo la base normativa che il Dpcm di febbraio ha tradotto
in norme pratiche». E allora vediamole queste norme. Non c'è un tetto
al numero dei militari dei corpi speciali che il premier può attivare
per missioni speciali. Ciò significa che potrebbe chiedere di impegnare
anche cento e più militari? «Anche se il numero massimo non è previsto –
risponde il presidente della Sioi – per la loro natura si tratta di
operazioni circoscritte, per numeri superiori ai 50 uomini è difficile,
tra l'altro, non immaginare un coinvolgimento del Parlamento».
Ma
il problema, secondo Frattini, è capire bene la natura della missione:
«Se si tratta di fare un blitz in un edificio dieci uomini possono
bastare, se si tratta di un quartiere allora me ne serviranno 50. Ma a
decidere quale corpo impiegare per la missione è sempre la Difesa che, a
seconda delle esigenze richieste, indicherà le forze più adeguate: San
Marco o Comsubin se c'è proiezione dal mare, Tuscania o Col Moschin se
occorrono paracadutisti e così via».
Come funzionerà la catena di
comando? «È stata valutata la possibilità per la prima volta – spiega
Frattini - di estendere temporaneamente le prerogative funzionali
tipiche degli agenti dei servizi agli appartenenti alla Forze armate.
Questo vale solo per il periodo della missione e finirà quando i
militari torneranno ai reparti di origine. Durante le missioni i
militari risponderanno ai responsabili delle operazioni che potranno
essere anche agenti Aise ma sono situazioni temporanee». Non c’è il
rischio di accentrare troppo potere in capo al presidente del Consiglio?
«In realtà già la riforma del ’77 dei servizi, come poi quella del
2007, identificava nel presidente del Consiglio il responsabile ultimo
della sicurezza nazionale; è sempre lui che presiede il Comitato per la
sicurezza della Repubblica ed è giusto che sia lui a derogare dalle
norme ordinarie per casi eccezionali». E il controllo parlamentare? «Per
quello c’è il Copasir che potrà sempre chiedere i resoconti delle
missioni ma non l’identità precisa degli agenti e trasmettere poi
all’aula relazioni depurate dagli elementi più sensibili».