Il Sole 3.3.16
Repubblicani sotto shock
La cavalcata trionfale dell’outsider Trump mette in difficoltà il Partito
di Marco Valsania
New
York Donald Trump avanza nonostante tutto. Soprattutto nonostante gran
parte dei vertici repubblicani, che tremano al pensiero di una sua
candidatura a novembre, capace di trascinare nel baratro di una
sconfitta di proporzioni storiche il partito, affossandone le speranze
presidenziali e parlamentari. All’indomani del Super Martedì delle
primarie, la presa popolare - e populista - dell’outsider per eccellenza
non può più essere ridimensionata: ha vinto sette Stati su undici. Se
non ha scritto la parola fine sulla corsa alla nomination repubblicana,
ai rivali ha lasciato solo premi di consolazione.
Ted Cruz ha
difeso il suo Texas, aggiungendo Alaska e Oklahoma. Marco Rubio ha
ottenuto la prima minuscola vittoria in Minnesota. Uno scenario che
serve al partito una rischiosissima mano di poker e due settimane - cioè
fino al prossimo appuntamento con primarie davvero decisive - per
giocarla: aspettare che il preferito Rubio emerga, allinearsi con
l’altrettanto odiato Cruz, intervenire con un rifiuto collettivo e
pubblico di Trump come candidato, oppure accettarlo e scendere a patti
con lui.
Gli striminziti successi di Cruz e Rubio complicano ancor
più la partita. Nessuno dei due ha oggi motivi per tirarsi indietro e
facilitare l’unione delle forze anti-Trump. Non Cruz, che ha quattro
vittorie all’attivo, nonostante la stridente ideologia ultra-religiosa
ne faccia un portabandiera men che ideale. Non Rubio che resta il
delfino dell’establishment e può sperare in un successo nella sua
Florida, Stato barometro nelle corse per la Casa Bianca. Stenta però a
decollare e contro Trump ha perso in Virginia, 35% a 32%.
Le
divisioni fanno così di Trump più che mai l’uomo da battere il 15 marzo,
quando si esprimeranno Florida, Illinois, Ohio, North Carolina e
Missouri. Uno scontro reso ancora più drammatico dalle regole del
partito: da metà marzo le primarie repubblicane prevedono di assegnare
tutti i delegati al vincitore, mentre finora si utilizzava il sistema
proporzionale. Con gli Stati industriali del Midwest, poi, in gioco
potrebbe rientrare anche John Kasich, governatore dell’Ohio che ora ha
solo 25 delegati, frazionando ulteriormente il voto anti-Trump.
Nel
Super Martedì, oltre a strappare il 46% dei delegati in palio contro il
33% di Cruz e il 16% di Rubio, Trump è stato l’unico repubblicano a
saper allargare la sua coalizione, sotto il profilo geografico e
sociale, dando credibilità alla promessa di portare nuovi elettori
nell’alveo del partito. Ha vinto dal profondo Sud al New England. E se
in passato i suoi elettori erano parsi concentrati tra bianchi disagiati
e delusi, i sondaggi post-voto hanno mostrato che ha attirato a sé
fasce dai redditi più elevati e con diversi gradi di istruzione. In
Virginia il 60% dei votanti aveva una laurea.
Grazie agli ultimi
successi, Trump è seduto su una cassaforte di 316 delegati contro i 226
di Cruz e i 106 di Rubio. E se la nomination si guadagna con 1.237
delegati, risalire la china è diventato più arduo. Trump può oggi
contare anche su un’erosione dell’opposizione delle élites: oltre ai
governatori Chris Christie del New Jersey e David LePage del Maine, ha
ottenuto il sostegno del senatore Jeff Sessions dell’Alabama. Un numero
crescente di esponenti conservatori ha indicato che lavorerà con Trump
presidente, contrastando chi ha minacciato di disertare il Grand Old
Party, di sostenere un candidato indipendente o di orchestrare golpe tra
i delegati alla Convention.
L’ostacolo maggiore potrebbe così
essere quella stessa virulenta anti-politica che oggi la forza di Trump.
Le polemiche sulle sue prese di posizione irrealistiche, estremiste e
controverse rischiano di aumentare nel tempo, di frantumare quel
movimento populista che al momento le ignora e di impedire la classica
manovra elettorale americana quando dalle primarie si passa alle
elezioni generali, che prescrive una svolta verso posizioni più
moderate: Trump ha tentennato persino nel prendere le distanze
dall’appoggio datogli dal leader del Ku Klux Klan, David Duke. Chissà se
sarà il rispetto di questa legge non scritta delle urne a tradire
Trump.