mercoledì 23 marzo 2016

Il Sole 23.3.16
Per Schengen può essere il colpo finale
Gli Stati, in risposta agli attacchi terroristici, potrebbero archiviare la libera circolazione delle persone
di Vittorio Da Rold

Gli attentati terroristici di Bruxelles, la sede dell’Unione europea e della Nato, il cuore politico e militare dell’Europa, portano a una serie di implicazioni anche per la libera circolazione dei suoi cittadini all’interno delle sue frontiere.
L’accordo di Schengen sulla libertà di movimento delle persone tra i Paesi aderenti è nel mirino da mesi e ora potrebbe essere colpito a morte. Il Trattato, che doveva essere salvato proprio dal recente accordo sui migranti deliberato a Bruxelles la settimana scorsa con l’accordo con la Turchia, sembra ora sul punto di cadere sotto i colpi delle esigenze della lotta ai terroristi jihadisti che hanno coperture e reti proprio nel Belgio, il crocevia d’Europa.
A 31 anni dalla sua nascita, il Trattato di Schengen rischia di finire la sua esistenza nell’archivio dei tanti sogni infranti europei. Preoccupati dalla carenza di controlli alle frontiere esterne dell’Unione, allarmati dall’arrivo in massa di rifugiati e ora dalla sequenza criminale degli attentati terroristici jihadisti, otto Paesi hanno già deciso di reintrodurre i doganieri e i controlli alle proprie frontiere.
Francia e Belgio, ma anche Austria, Ungheria, Germania, Norvegia, Danimarca e Svezia. Paesi con governi di sinistra e conservatori hanno deciso la retromarcia. «La reintroduzione dei controlli è temporanea», si sono affrettati a precisare ed «è prevista dal Trattato», ma dopo gli ultimi eventi rischia di diventare permanente, con conseguenze pesantissime per l’economia del Vecchio continente, già provata da deflazione e crescita asfittica.
Ma ora più che l’esigenza di creare barriere per fermare i migranti, peraltro bloccati in Grecia, è la caccia ai terroristi e la difesa da nuovi attentati a essere il principale motivo per l’abbattimento di Schengen. I jihadisti creano basi in uno Stato e da lì ne colpiscono un altro contando sulla mancanza di coordinamento tra intelligence europee.
Anche la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi - l’elemento chiave dell’operazione Ue-Turchia negoziata la scorsa settimana – sarà messa alla prova nel dibattito al Parlamento Ue. Molti deputati hanno già manifestato dubbi e perplessità sul tema nella convinzione che l’esenzione dal visto per i turchi aumenterebbe i rischi per la sicurezza europea.
Quanto potrebbe costare l’abolizione di Schengen? Nell’area circolano 60 milioni di Tir all’anno, 1,7 milioni di lavoratori transfrontalieri e oltre 200 milioni di viaggiatori. Se saltasse Schengen ci troveremmo in un Europa con una sola moneta in tasca e il ritorno dei controlli alle frontiere per merci e persone. Un passo indietro al 1995. I costi economici sarebbero salatissimi per il mercato interno: secondo France Strategie, un think tank francese, si arriverebbe a 100 miliardi di euro all’anno con il ritorno ai controlli alle frontiere, mentre la tedesca Bertelsmann Stiftung stima la perdita in 140 miliardi annui, che nel decennio fanno ben 1.400 miliardi, il 10% del Pil dei 28 Paesi Ue.
Tra il 2016 e il 2025, le perdite nella sola Germania sarebbero pari a 77 miliardi; in Italia ammonterebbero a 49 miliardi. «Se le barriere doganali dovessero tornare su in Europa, ciò peserebbe ancor di più su una crescita già debole», ha detto Aart De Geus, presidente di Bertelsmann Stiftung.
E l’Est Europa? La Slovacchia è il fornitore di componenti just-in-time per l’industria dell’auto tedesca. La Repubblica Ceca è tra i principali esportatori europei di prodotti agricoli. L’Ungheria è la nazione con la maggiore apertura internazionale dell’economia. «La fine dello Spazio Schengen metterebbe seriamente a rischio la catena di valore», ha avvertito recentemente a Bruxelles Emma Marcegaglia, presidente di Business Europe, la Confindustria europea.
Quanto a Brexit i l premier britannico David Cameron ha affermato che Londra sarà più sicura in Europa, ma questi ultimi drammatici eventi, al contrario, potrebbero favorire un voto a favore dell’uscita britannica il 23 giugno.