il manifesto 23.3.16
Soffia la caccia allo straniero
Migranti.
L’accoglienza o il respingimento, una contrapposizione che rivede
classi e forze sociali. I governi europei sono in gran parte lanciati,
all’inseguimento delle destre. Ma si tratta di una vana rincorsa
di Guido Viale
Il
cordoglio e la pietà per le vittime degli attentati di Bruxelles
dovrebbero renderci più umani e non più feroci nell’affrontare il vero
conflitto con cui dobbiamo misurarci se vogliamo prosciugare lo stagno
dove sguazza il terrorismo islamista: quel conflitto verso i profughi
che rende l’Europa così fragile e debole. L’urgenza di difenderci non
deve farci dimenticare che il terrorismo non si combatte con la guerra,
che é ciò che lo ha prima covato e poi nutrito nel corso degli ultimi
anni.
Né con lo Stato di polizia, che non fa che promuoverlo, e
meno che mai con la “caccia allo straniero”; bensì combattendo le
discriminazioni e il disprezzo di cui si alimenta il rancore che di cui
si alimenta il terrorismo. Per questo non c’è niente che metta in forse
la convivenza in Europa quanto il cinismo e la ferocia con cui i suoi
governi trattano i profughi che si presentano alle sue porte per
sottrarsi al terrore che rende impraticabili tutti quei paesi – e non
solo la Siria – da cui cercano di fuggire.
Quello che si è aperto,
soprattutto nell’area che abbraccia Europa, Medio Oriente e Africa
centrosettentrionale, è uno scontro intorno al riconoscimento di un
diritto ovvio, perché “naturale” nel senso più banale del termine, ma
ostico e difficile da accettare.
L’asilo, la protezione
internazionale accordata ai profughi e normata dalla convenzione di
Ginevra, era stato concepito finora, più che come un diritto, come una
concessione delle democrazie liberali a chi fuggiva per sottrarsi a una
dittatura e poi, per estensione, a una guerra civile. Ma oggi quelli con
cui l’Europa e gli Stati che per ragioni geografiche o storiche
gravitano intorno al Mediterraneo si confrontano sono esodi di massa in
cui i fattori guerra e dittatura si mescolano inestricabilmente con
quelli ambientali e climatici. Tanto che all’origine di molti dei
conflitti armati in corso – compreso quello in Siria – non è difficile
riconoscere un deterioramento ambientale provocato dallo sfruttamento
incontrollato di risorse locali, ma, sempre più spesso, dai cambiamenti
climatici in atto. Questo rende priva di fondamento la distinzione tra
profughi di guerra, da accogliere, e migranti economici, da rimpatriare.
In
un modo o nell’altro, sono ormai tutti profughi ambientali – una figura
non contemplata dalle convenzioni sulla protezione internazionale – ma
la cui presenza sarà centrale nel contesto sociale e politico dei
decenni a venire.
Quello scontro tra chi rivendica un diritto
“naturale” alla vita e chi glielo vuole negare si ripercuote,
all’interno degli Stati membri dell’Unione europea, in un conflitto
sempre più acceso e centrale – tanto da far passare in second’ordine
tutti gli altri, o da subordinarne ad esso le manifestazioni – tra chi
si schiera a favore dell’accoglienza e chi si mobilita per sostenere i
respingimenti. Ai due poli di questi schieramenti, che stanno facendo
piazza pulita della configurazione tradizionale dei partiti e delle
forze politiche, troviamo da un lato una folta schiera di volontari,
delle più varie estrazioni sociali e anche politiche o religiose, che si
adoperano in mille modi per assistere e accogliere i profughi.
Dall’altro degli squadristi impegnati in assalti ai siti dove i
rifugiati vengono spesso solo “immagazzinati”.
Ma intorno a questi
squadristi si sta creando un cordone di condivisione e di aggregazioni
politiche di stampo nazionalista (o “sovranista”) e, in buona misura,
razzista, in netta avanzata ovunque. Mentre la simpatia che suscita
l’azione dei volontari stenta – per usare un eufemismo – a farsi strada
sia in termini di appoggio politico che come “comune sentire”. Anche
perché le soluzioni prospettate dalla destra sono semplici, spicce e non
affrontano le loro inevitabili conseguenze: una stretta, non solo
politica, ma anche economica e sociale, sui diritti di tutti, una guerra
che trasforma in nemici tutti coloro che oggi cercano e non trovano
salvezza in Europa, una serie infinita di stragi in terra e in mare che
finirà per configurarsi come un vero sterminio; mentre la scelta di
accogliere, al di là delle emozioni immediate che suscita la vista di
tanta miseria, è complicata, richiede programmi, ragionamenti, svolte e
impegni radicali.
Da tempo i governi europei si sono in gran parte
lanciati all’inseguimento delle forze di destra. Una rincorsa vana,
perché quegli argomenti li sanno usare meglio le forze apertamente
razziste. Ma soprattutto perché sono incapaci di fare i conti con la
dimensione effettiva del problema e delle misure necessarie per farvi
fronte: rinuncia all’austerity, alla contrazione di spesa pubblica e
welfare, a quella precarizzazione del lavoro che ha creato milioni di
disoccupati, e un impegno effettivo nella conversione ecologica, unico
modo, peraltro, per creare milioni di nuovi posti di lavoro utili a
tutti. Quella incapacità li sospinge così verso politiche sempre più
feroci e antipopolari, come gli hot spot, il filo spinato, la guerra in
Libia o l’indecente accordo con la Turchia, insensato e suicida quanto
cinico e spietato. Che però ha fatto contenti tutti i governanti, che
possono così aspettare qualche mese, fino a una nuova resa dei conti,
per ammettere che non sanno che cosa fare; compreso Renzi, che si è
improvvisamente fatto paladino di un’Europa più “umana”, ma che ha
chiesto subito l’estensione di quell’accordo alle altre situazioni su
cui verranno deviate le prossime ondate di profughi.
Sostenitori e
nemici dell’accoglienza, si ritrovano, tanto tra le forze di sinistra e
di centro quanto nel mondo cristiano e soprattutto in quello cattolico,
che si questo tema rischia una frattura storica e persino tra molte
persone di destra (tra cui c’è ancora qualche emulo di Perlasca). È una
contrapposizione che lavora alla dissoluzione degli schieramenti e dei
rituali politici tradizionali, ma anche a un riposizionamento di classi e
forze sociali, verso le quali c’è bisogno di un approccio politico
nuovo, prammatico, non rituale né “ideologico” senza il quale la
vittoria delle destre e del razzismo è scontata.
Oggi non è più
possibile “fare politica”, lavorare alla ricostituzione di un fronte
sociale che faccia valere gli interessi delle classi e dei cittadini
sfruttati e oppressi, senza individuare nelle varie forme di
volontariato, nelle loro pratiche, nelle loro necessità, nelle loro
iniziative e, soprattutto, nei legami che riescono a creare con la
nazione dei profughi un riferimento irrinunciabile per ogni possibile
ricomposizione delle forze che vogliono un’altra Europa perché vogliono
un’altra società.