martedì 22 marzo 2016

Il Sole 22.3.16
Democratici. Renzi in Spagna, slitta al 4 aprile la direzione
Il premier al Quirinale: nel colloquio il viaggio in Africa di Mattarella e le nomine
Pd, rinviata la «resa dei conti» interna
M5S all’attacco sul padre del ministro Boschi
Guerini: «Nuova sfiducia? La respingeremo»
di Emilia Patta

Roma Matteo Renzi decide in mattinata di correre in Catalogna a portare ai feriti e ai famigliari delle vittime l’abbraccio dell’Italia per una tragedia che – dice – «ci ha colpito in modo così profondo forse perché ci sentiamo comunità molto più di quello che pensiamo... ho portato a quei genitori l’affetto e la commozione degli italiani, tutti, tutti insieme, nessuno escluso». E rinvia così a dopo Pasqua, al 3 aprile, una direzione del Pd che lui stesso aveva definito un regolamento di conti con la minoranza. Ma è un rinvio che può tornare utile a entrambe le “parti”, dal momento che nonostante i toni accesi degli ultimi giorni i pontieri sono al lavoro per siglare una tregua quantomeno fino alle amministrative di giugno.
Partita difficile, quella delle comunali, in salita a Roma e praticamente già data per persa a Napoli dove Antonio Bassolino sembra essere in procinto di scendere in campo contro la vincitrice delle primarie Valeria Valente. E non scontata neanche a Milano, Torino e Bologna dove la sinistra di Sel ha schierato candidati alternativi potenzialmente pericolosi. Insomma il Pd contro tutti e tutti contro il Pd. Dall’attacco concentrico di Matteo Salvini e del Movimento 5 stelle – che ieri sono tornati all’attacco sul caso Boschi chiedendo le dimissioni della ministra delle Riforme per l’indagine su Banca Etruria che coinvolge il padre – fino alla sinistra extra-Pd che tenta di rosicchiare quanti più voti possibile tra l’elettorato ex diessino del Pd. «Se Bersani e Speranza sono in buona fede e davvero sostengono i candidati del Pd, allora lavoriamo insieme per il buon esito», è il refrain dei fedelissimi del premier.
Renzi, da parte sua, non ha molta voglia di dedicare troppo tempo alle “beghe” interne del suo partito, come ha voluto dimostrare anche con la trasferta immediata di ieri in Catalogna. Trasferta preceduta da un colloquio al Quirinale con Sergio Mattarella durante il quale il capo dello Stato ha riferito in merito al suo recente viaggio in Africa e durante il quale si è probabilmente parlato anche delle nomine decise ieri in Consiglio dei ministri (si veda l’articolo in pagina). Il premier preferisce insomma guardare al Paese e parlare al Paese. Anche valorizzando l’azione di governo. Sulla questione di Denis Verdini, il cui appoggio al governo in Senato è deprecato dalla minoranza come prova della costruzione del “Partito della Nazione” spostato a destra, il premier e segretario del Pd non aveva intenzione di intervenire nel suo discorso in direzione. Il suo pensiero a riguardo lo ha già chiarito domenica durante il suo intervento al congresso dei giovani democratici: l’appoggio parlamentare di Verdini, così come quello del partito centrista di Angelino Alfano, è reso necessario dal fatto che nel 2013 il Pd di Bersani le elezioni le ha perse. «L’unico modo per fare a meno di Verdini e Alfano è vincerle, le elezioni».
Guardare al Paese, dunque, senza dare troppa risonanza alle polemiche della minoranza del Pd è anche l’indicazione che Renzi dà ai suoi. Non a caso ieri Maria Elena Boschi, al centro degli attacchi dei grillini che dopo le notizie sull’indagine che coinvolge il padre Pier Luigi sono tornati a chiederne le dimissioni e hanno annunciato la presentazione di un’altra mozione di sfiducia, ha tenuto una lezione sulle riforme costituzionali alla Sapienza di Roma. E il vice del Pd Lorenzo Guerini respinge al mittente le accuse dei grillini: «Una mozione di sfiducia contro Boschi non ha senso, e se verrà presentata la respingeremo».
Tuttavia la mostra dei muscoli deve essere accompagnata, secondo l’opinione di molti anche nella maggioranza, da una atteggiamento più inclusivo. Come ha dimostrato da ultimo l’accordo sul decreto banche riguardo al passaggio delle riserve indivisibili sul quale Bersani aveva già preannunciato il suo no se non ci fossero stati cambiamenti. Due settimane, insomma, tornano buone per arrivare a una sorta di patto elettorale. «Tutto il partito deve essere proiettato sui prossimi appuntamenti, dalle amministrative al referendum», per dirla con Guerini.
E intanto si accende in Parlamento un altro fronte di scontro, esterno e interno: quello sulla proposta di legge sui partiti in attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Legge che Forza Italia teme per l’eventuale imposizione delle primarie per legge e il M5S osteggia per l’intrusione nella vita interna ai partiti. E che vede due fronti nello stesso Pd: quello di Guerini e del presidente del partito Matteo Orfini, che vuole l’imposizione di standard di democrazia interna pena l’esclusione dalle elezioni, e uno più “liberal” rappresentato dal relatore Matteo Richetti, renziano della prima ora, che vuole criteri di democraticità interna e di trasparenza ma senza la clausola di esclusione dalle elezioni.