mercoledì 16 marzo 2016

Il Sole 16.3.16
Il duello dentro al Pd. Alla direzione di lunedì il premier userà toni concilianti
Amministrative e referendum: Renzi e la mediazione necessaria
di Emilia Patta

Ora abbassare i toni. Questa la prima esigenza di Matteo Renzi per quanto riguarda le polemiche degli ultimi giorni all’interno del Pd. Esasperare oltre un certo limite le tensioni con la minoranza interna non giova al premier e segretario del partito a pochi mesi dalle comunali di giugno. Perché se Napoli è di fatto data per persa (e in questo senso una possibile lista personale di Antonio Bassolino contro la vincitrice delle primarie Valeria Valente può fungere da capro espiatorio per una sconfitta già messa in conto), Milano non va assolutamente persa e anche a Roma la partita - è la convinzione di Largo del Nazareno - è in realtà ancora tutta da giocare. E trascorrere le ormai poche settimane che mancano al 12 giugno (questa la probabile data delle amministrative) a sbranarsi come separati in casa non è certo il miglior viatico per convincere gli elettori a votare Pd.
Per questo lunedì, nell’attesa direzione del partito dopo le polemiche sulle presunte irregolarità alle primarie cittadine del 6 marzo e dopo gli attacchi alla linea del leader da parte di due ex come Pier Luigi Bersani e Massimo D’Alema, non ci sarà alcuna resa dei conti. Renzi potrebbe anzi tendere la mano su uno dei punti sollevati dalla minoranza durante la convention di Perugia del fine settimana: ribadire cioè che, in base all’accordo raggiunto nel Pd lo scorso settembre sulla riforma del Senato, la legge elettorale che disciplinerà le modalità di elezione dei futuri consiglieri-senatori sancirà effettivamente il principio della «scelta» diretta da parte dei cittadini così come previsto dall’ultima stesura della riforma Boschi. Con il sistema dei collegi uninominali, come hanno proposto in un documento i senatori bersaniani, oppure con un sistema di preferenze poco importa: basta che sia chiaro che non ci saranno senatori-consiglieri “nominati” dai Consigli regionali. «Anche perché i cittadini vogliono partecipare alla scelta dei propri rappresentanti - argomenta un dirigente renziano - e la classe politica regionale è tra le più screditate agli occhi dell’opinione pubblica». Ribadire il concetto, insomma, può far bene anche alla campagna per il sì che partirà ad aprile, dopo l’ultimo via libera della Camera.
È stata proprio questa, non a caso, la richiesta avanzata nel week end perugino dal giovane leader della minoranza bersaniana Roberto Speranza, probabile competitor di Renzi al prossimo congresso del Pd previsto alla fine del 2017: trovare subito un accordo politico sulla modalità di scelta dei futuri senatori per avere in cambio il sì convinto di tutto il partito al referendum confermativo d’autunno. Certo, tecnicamente non è possibile incardinare ora in Parlamento la legge attuativa della riforma Boschi che dovrà disciplinare la modalità di elezione del futuro Senato delle Autonomie (elezione che giuridicamente resta di secondo grado). Occorre attendere che la riforma entri in vigore, e dunque attendere l’esito del referendum. Ma, appunto, l’accordo su un testo si può trovare prima. «La proposta già presentata dai senatori della minoranza, che ruota attorno ai collegi uninominali, è una buona base di partenza - conferma il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti -. Ma certo non è possibile incardinare la legge attuativa della riforma a costituzione vigente».
L’interesse di Renzi a tenere bassi i toni in vista delle comunali, tuttavia, non coincide con l’interesse della minoranza. Che vuole restare a dare la sua battaglia dentro il Pd e non fuori verso fantomatiche “cose rosse” - come ribadito nelle ultime ore da Bersani, Speranza e Cuperlo - ma che ha bisogno di visibilità in vista del congresso. Perché, non va dimenticato, sarà la percentuale che la minoranza prenderà alle primarie per la scelta del segretario a determinare il numero di seggi nella prossima Camera, unica depositaria della fiducia al governo, per gli anti-renziani. E con un Italicum che prevede una maggioranza di sole 25 teste la battaglia per le liste alle prossime politiche sarà fondamentale per il futuro, di “corrente” e anche a livello individuale, della minoranza. «Molto dipenderà da come andranno le elezioni comunali - è il ragionamento del senatore bersaniano Miguel Gotor -. Non solo nelle grandi città, dove ci sono dinamiche particolari dovute anche all’appeal dei candidati. Quando vanno a votare 10 milioni di cittadini si può fare un ragionamento sui flussi. E capire se questo Pd che guarda a destra più che a sinistra ha successo o meno alle urne. Solo dopo le comunali si potrà fare un vero ragionamento politico». Ecco, dire che la minoranza scommette sulla sconfitta del Pd renziano nelle città forse è un po’ troppo. Ma di certo per Renzi arrivare a quell’appuntamento in un clima interno di tregua armata invece che di faida quotidiana sarebbe già un successo. Da qui la necessità di mediare, ove possibile.