martedì 15 marzo 2016

Il Sole 15.3.16
La crescita dell’economia americana e l’aumento del dollaro compensano la caduta negli emergenti
Gli Usa trainano l’export europeo
di Luca Orlando

Crescita a doppia cifra delle vendite dei Paesi Ue: +21% per il made in Italy
I sorrisi più smaglianti sono senz’altro dalle parti di Dublino. La corsa delle vendite verso gli Stati Uniti, primo mercato estero di sbocco per l’Irlanda, ha rilanciato nel 2015 l’export nazionale di quasi sei punti percentuali, “spiegando” quasi un terzo dei progressi globali del Paese.In nessun altro paese europeo il combinato disposto della crescita di Washington e della rivalutazione del dollaro ha avuto un impatto tanto ampio ma in generale non vi sono dubbi sul fatto che a livello continentale siano stati proprio gli Stati Uniti i protagonisti assoluti in termini di export.
Gli Usa rappresentano infatti di gran lunga il primo mercato di sbocco extra-Ue per l’Unione ma anche tenendo conto degli scambi interni la quota di Washington è pari al 7,6%, con un livello ancora superiore per Irlanda e Regno Unito, così come per Italia (8,7%) e Germania (9,6%), paese che dal 2015 ha proprio negli Stati Uniti il primo partner commerciale, davanti alla Francia.
Se le vendite continentali extra-Ue sono lievitate del 5% lo scorso anno a quota 1789 miliardi di euro lo si deve in effetti proprio allo shopping di Washington, un incasso aggiuntivo di quasi 60 miliardi di euro in grado di bilanciare ampiamente le debolezze e i minori acquisti dei Bric’s, Russia e Brasile in primis. Una crescita dei valori di 19 punti percentuali in buona parte legata ai vantaggi sui cambi, con un rapporto euro-dollaro sceso di quasi 20 punti percentuali, da una media 2014 di 1,3285 ad un più competitivo valore di 1,1095 l’anno successivo.Il che ha consentito ai produttori di avere margini di manovra sui prezzi:?chi ha deciso di bloccare i listini in euro ha offerto forti sconti in dollari guadagnando quote di mercato; chi invece vendendo in dollari non ha cambiato nulla ha fatto lievitare gli incassi unitari in euro.
Più probabilmente sono state però le strategie intermedie quelle più frequenti. Se prendiamo ad esempio le calzature italiane (ipotizzando che non sia cambiato il mix qualitativo), il rapporto tra valori e quantità (entrambi in crescita nel 2015) ci dice che nel 2014 in media un chilo di prodotto ha fatto incassare all’impresa 83 euro, l’anno successivo 90. Traducendo però i listini in dollari, lo stesso quantitativo di prodotto è diventato più conveniente, passando da 110 a 100, offrendo così al consumatore statunitense un incentivo in più all’acquisto. Analogo il discorso per il vino, con un incasso medio al litro salito da 4 a 4,25 euro mentre dal lato Usa il prezzo in dollari scendeva da 5,3 a 4,7 dollari, uno sconto di oltre il 10%. Benefici sfruttati da tutti i paesi della zona euro (ma anche dal Regno Unito, con la sterlina svalutata rispetto al dollaro) in grado mediamente di aumentare lo scorso anno a doppia cifra gli incassi in euro in arrivo da Washington.
In termini percentuali è paradossalmente per la Grecia la performance migliore, con un aumento dei volumi del 55%, anche se le cifre in gioco sono davvero limitate, poco più di un miliardo di euro. Limitando l’analisi alle maggiori economie il risultato più rotondo è per Londra, con una crescita dei valori del 33%, in grado di far lievitare di quasi 4 punti il proprio export globale, dipendente per il 14,5%?proprio dagli acquisti statunitensi.Subito dopo, tra i “big”, ci siamo noi, con una crescita dei valori pari al 21%, oltre sei miliardi di incassi aggiuntivi nel 2015. Progresso che vale l’1,6% delle nostre esportazioni, in assenza del quale i risultati 2015 per il made in Italy sarebbero stati praticamente dimezzati. In valore assoluto i benefici più ampi, oltre 18 miliardi aggiuntivi, sono naturalmente per il primo esportatore europeo, la Germania, che tuttavia è riuscita a sviluppare i valori in misura leggermente inferiore all’Italia, solo il 19%, così come accaduto per la Francia.
Determinante, per l’Italia, è stata la spinta in arrivo dal settore auto, con valori praticamente raddoppiati in un anno, il che si traduce in oltre due miliardi di incassi aggiuntivi rispetto al 2014. Non a caso, su base provinciale, è proprio Torino la star assoluta, con vendite negli Usa più che raddoppiate a quota 3,2 miliardi (dati disponibili solo per i primi tre trimestri). Per gli altri comparti le crescite 2015 verso Washington sono comunque sempre a doppia cifra, con 600 milioni di incassi aggiuntivi per l’alimentare, altrettanti per tessile-abbigliamento, quasi mezzo miliardo in più per la farmaceutica, 666 milioni di incremento nell’area vasta dei macchinari e della componentistica, 144 milioni per i mobili, con valori in crescita del 21%. Durerà? Le prime indicazioni 2016 non sono brillanti, con vendite di made in Italy in calo di otto punti e questo è il probabile effetto di un differenziale di cambio meno vantaggioso su base tendenziale. Ora che quota 1,10 sembra consolidarsi, livello non distante da quanto si realizzava sul mercato 12 mesi fa, la partita si gioca solo sulle quote di mercato:?un prodotto venduto a 100 dollari nel marzo 2015 si traduceva allora in 92 euro di incasso, esattamente la stessa cifra di oggi.