il manifesto 15.3.16
Alternative für Deutschland, un movimento populista anti-migranti tutto nuovo
Germania. Eletti nel parlamento europeo nel 2014 hanno integrato i Conservatori e riformisti
di Guido Caldiron
Per
la Germania è una prima volta. Mai, perlomeno dall’immediato
dopoguerra, a “destra della destra” era sorta una tale minaccia. Nemmeno
nella stagione di risveglio patriottico che fece seguito alla
riunificazione del paese, i Republikaner dell’ex stella della tv Franz
Schönhuber, o la Deutsche Volksunion del potente editore di memoriabilia
bellica Gerhard Frey avevano potuto sperare in un tale successo. Per
non parlare della Npd, il più longevo partito neonazista della
Repubblica federale, capace di garantire un inquietante ombrello legale
alle bande violente che scorrazzano specie nelle regioni orientali del
paese, ma non di costituire un altrettanto significativo pericolo nelle
urne.
A soli tre anni dalla sua fondazione, e dopo una torsione
dalle iniziali campagne euroscettiche a una linea risolutamente
anti-immigrati, i numeri e l’ampiezza dell’affermazione registrata
dall’Alternative für Deutschland rappresentano una novità assoluta per
il panorama politico locale. E questo a un anno esatto dalle prossime
elezioni politiche generali. La lunga “eccezione” tedesca sembra essere
già stata superata dai fatti: anche qui come nel resto d’Europa, la
nuova destra populista e xenofoba appare destinata a mettere radici,
utilizzando il passe-partout del rigetto degli stranieri per catalizzare
ogni sorta di malessere sociale o di inquietudine identitaria.
Ma
la crescita spettacolare dell’Alternativa per la Germania,
partito-movimento la cui struttura e perfino le cui linee programmatiche
seguono e non precedono l’exploit elettorale, nei prossimi mesi un
congresso dovrebbe definirne organigramma e statuto, testimonia anche di
un altro processo che è in atto in Europa.
Per quanto l’AfD, che
era sorto con il plauso di settori del mondo imprenditoriale tedesco e
grazie a più d’un transfuga della stessa Cdu, proceda, specie ad est,
talvolta in aperta sinergia con i razzisti anti-musulmani di Pegida o
grazie a un personale politico, come il leader regionale della Turingia,
Björn Höcke, notoriamente vicino agli ambienti del radicalismo nero –
la stessa giovane leader Frauke Petry proviene da Dresda, città divenuta
negli ultimi quindici anni l’epicentro della nuova cultura nazionalista
tedesca -, l’immagine prevalente del partito è più simile a quella dei
movimenti populisti che non alla vecchia estrema destra.
Forse non
a caso i rappresentanti dell’AfD eletti nel parlamento europeo nel 2014
hanno integrato quel gruppo dei Conservatori e riformisti europei,
guidato dal leader dei conservatori britannici David Cameron – terzo
gruppo del parlamento Ue con 70 membri -, che riunisce quelle forze
della nuova destra europea che intendono giocare la carta di una sorta
di “populismo di governo”: dai polacchi di Diritto e giustizia di
Jaroslaw Kaczynski, da qualche mese al potere a Varsavia, ai
neonazionalisti fiamminghi della N-Va, ago della bilancia dell’esecutivo
di centrodestra del Belgio, dal Movimento dei Veri finlandesi di Timo
Soini, che hanno integrato lo scorso anno la maggioranza di governo di
Helskinki, fino a quel Partito del popolo danese, responsabile
nell’ultimo decennio del drastico cambio di registro sull’accoglienza
avvenuto a Copenhagen.
In altre parole, una destra tutt’altro che
solo chiacchiere e distintivo che, sull’esempio di quanto è riuscito a
fare Cameron che ha imposto a Bruxelles, agitando il fantasma della
Brexit, una sorta di “preferenza nazionale” per i suoi concittadini, non
punta solo a evocare allarmi e paure, quanto piuttosto a trasformarli
in sinistre pratiche di gestione della cosa pubblica. In questo caso,
una temibile “alternativa” per la politica tedesca.