Il Sole 15.3.16
Renzi sfida la sinistra: ci vediamo al congresso
Lo scontro nel Pd. Il premier: sulla strategia discuteremo lunedì in direzione
La minoranza: inutile, quello è un «non luogo»
«Dibattito interno surreale»
D’Alema: ho posto problemi politici, ho avuto insulti per risposta
di Manuela Perrone
ROMA
Se non è una dichiarazione di guerra, poco ci manca. All’indomani della
tre giorni organizzata in Umbria dalla sinistra dem, Matteo Renzi
ricorre alla consueta enews per sfidare la minoranza: «Ai miei compagni
di partito che pongono grandi problemi sulla visione strategica della
sinistra, in Italia e nel mondo, do appuntamento per lunedì prossimo, in
direzione, e soprattutto al congresso del 2017».
L’ironia è
lampante. Renzi bolla il dibattito interno «di tutti i partiti (talvolta
purtroppo anche del Pd)» come «surreale». Chiude la porta a qualsiasi
ipotesi di anticipare il congresso, come la minoranza ha chiesto, e
stoppa sul nascere la richiesta di separare le funzioni di premier e
segretario. Ricorda che «il risolino» della stampa estera all’annuncio
della data di inaugurazione della Salerno-Reggio Calabria è «il simbolo
delle tante ironie sull’Italia, contro l’Italia», e rivendica gli 80
euro, la legge elettorale, la riforma del Senato, il tetto agli stipendi
dei manager: l’incasso di due anni di governo, il bacio riformista che
sta svegliando l’Italia «bella addormentata».
Di nuovo il premier
difende le primarie, proprio mentre a Napoli la Commissione di garanzia
boccia il ricorso bis di Bassolino: viva quelle «vere, libere, oneste»,
quelle «in cui chi perde ammette la sconfitta e dà una mano». Altro che
«modello aumm aumm», come aveva ironizzato su Facebook il candidato
sindaco Cinque Stelle ad Alessandria. Renzi si prende la rivincita: «Due
giorni dopo il post lo hanno arrestato con l’accusa di aver scassinato
un armadietto per rubare portafogli ai compagni di palestra». Non si
accettano lezioni: «La prossima volta aumm aumm ditevelo allo specchio».
Ce
n’è per tutti. Ma la minoranza non demorde: tutti scettici sulla
direzione di lunedì prossimo. «È un non luogo», sottolinea il senatore
Miguel Gotor: «Renzi là ha il 65%». Nico Stumpo cita i numeri dei
bersaniani doc, nettamente minoritari: «Vogliono fare un documento
invotabile per noi? Si accomodino. Siamo 8 su 200». Mentre Cuperlo
insiste (quello di segretario «è un incarico a tempo pieno che non si
può fare a mezzo servizio»), Massimo D’Alema torna ad affondare: «Il mio
intervento è stato presentato come un appello alla scissione, mentre ho
solo sollevato una serie di preoccupazioni e posto dei problemi
politici». Peccato che «ho avuto risposte sotto forma di insulti e
nessuna replica sul merito».
Di scissione nessuno vuol sentire
parlare. Gotor spiega: «Tra la disgregazione del centrodestra e
l’inconsistenza dei dirigenti del M5S, il Pd è l’unico partito rimasto.
Per questo contiene al proprio interno una conflittualità a sua volta
anomala». Ma «è importante che il disegno di Renzi si sia chiarito: sta
trasformando il Pd nel perno di un disegno neocentrista. Per combatterlo
dobbiamo stare dentro il Pd». Lo evidenzia anche D’Alema: «Dopo essere
andati alle elezioni come schieramento di centrosinistra abbiamo una
parte della sinistra diventata opposizione e una parte della destra
diventata governo». Lo ripete Cuperlo, domandando: «C’è qualcuno che
pensa di trasformare l’attuale maggioranza transitoria ed eccezionale in
una maggioranza politica per il dopo»? Su questo «Renzi non risponde».
È
sullo scacchiere di quel dopo (le politiche 2018) che si muovono le
pedine. È sul ruolo dell’Ncd di Angelino Alfano e dei parlamentari di
Denis Verdini che la minoranza sollecita lumi. Ed è su alcuni
provvedimenti caldi, come la riforma delle banche di credito cooperativo
o la legge elettorale per i futuri senatori, che potrebbe passare la
ricomposizione. Una tregua utile, soprattutto in vista del referendum di
ottobre sulle riforme su cui Renzi ha scommesso la sua carriera
politica.