Il Sole 14.3.16
Poca selezione penalizza il merito e i più giovani
di Claudio Tucci
Se
fosse un’anteprima a teatro assisteremmo a ingressi solo «a invito».
Con una selezione limitata tra i 200mila aspiranti spettatori visto che
entrerebbero più o meno uno su tre. Peccato che siamo di fronte a un
concorso pubblico, a cui non potranno partecipare tutti i potenziali
docenti della scuola italiana. Ma solo quelli «abilitati» e per di più
con una procedura che rischia di favorire i precari di lungo corso,
ancora inseriti nelle graduatorie a esaurimento (le «Gae») perchè non
stabilizzati con il maxi-piano di immissioni in ruolo di oltre 93mila
prof, completato a dicembre.
Certo, la decisione di Stefania
Giannini di ritornare al concorso «come modalità normale» di
reclutamento degli insegnanti è un cambio di passo significativo: dal
1999 (“concorsone” Berlinguer) al 2012 (selezione Profumo) l’accesso in
ruolo a una cattedra è avvenuto solo scorrendo le Gae, con il
silenzio-assenso del sindacato (non attivando selezioni il 50% da Gae e
50% da concorso per il reclutamento diventava di fatto 100% da Gae). Da
apprezzare è anche il primo, ma parziale tentativo di fornire alle
scuole gli insegnanti di cui hanno bisogno (soprattutto matematica); e
di avere graduatorie di merito di durata non illimitata, ma triennale, e
che potranno contenere uno stock di “idonei” non superiore al 10% dei
posti banditi.
Questi accorgimenti non scongiurano però il rischio
di penalizzare lo stesso il merito e i giovani talenti. Intanto perché
sono stati ammessi a partecipare i diplomati magistrali ante 2001/2002:
parliamo di persone che 15 anni fa potevano insegnare con appena 4 anni
di studio, ma dopo la riforma Moratti non ne avevano più titolo. È stato
poi dato più “peso” al «servizio prestato»: 0,7 punti ogni anno. Questo
significa che un neo abilitato senza esperienza parte con 7 punti in
meno sulla carta rispetto a un precario con 10 anni di supplenze alle
spalle. E per finire le prove di lingua straniera, che rimangono due, ma
saranno quiz a risposta chiusa. Un altro paradosso nell’era del «Clil» e
dell’apertura al multilinguismo. Che il Miur pretende dagli studenti,
ma si limita solo a “testare” (senza approfondirlo) tra i suoi aspiranti
professori.