giovedì 10 marzo 2016

Il Sole 10.3.16
La Cina brucia riserve valutarie
Pechino smentisce ma cresce l’allarme
di Rita Fatiguso

Se la Banca centrale cinese interviene, come è successo ieri, per puntellare le sue leggendarie riserve valutarie vuol dire che il problema esiste. In questi giorni dominati dalle Due sessioni del Parlamento, il pericolo dell’assottigliamento delle riserve, politicamente sensibile, è stato più volte sfiorato e, puntualmente, smentito.
Già durante il G20 finanziario di Shanghai il Governatore Zhou Xiaochuan aveva affrontato il tema impugnando l’estintore: il problema non esiste. E aveva spiegato come e perché il monitoraggio della Banca fosse cambiato nella struttura e nella sostanza: anche il mondo è cambiato, aveva detto, non potevamo certo mantenere le vecchie modalità di calcolo. Il che aveva aumentato la curiosità sui reali movimenti valutari.
Ieri, però, dopo aver acquistato valuta estera a man bassa per sostenere lo yuan in caduta libera Zhou, ha dovuto rispondere, ancora una volta, alla solita domanda se è vero oppure no che le mitiche riserve in valuta stanno diminuendo. Fatto sta che il mese scorso il tesoretto ha perso per strada altri 28,6 miliardi, scendendo a 3,2 trilioni di dollari. In chiusura di giornata i fondi cinesi hanno smobilizzato investimenti esteri per andare in soccorso dello yuan in grande sofferenza.
Il crollo di febbraio è inferiore a quello dei mesi scorsi (dicembre, con oltre 100 miliardi, ha segnato il punto più basso), ma da quattro mesi a questa parte, in pratica come strascico al crollo dell’estate scorsa, la disponibilità è calata costantemente.
Sulla composizione delle riserve la Banca centrale ha sempre steso un velo di riservatezza, rifiutando di fornire particolari sulla composizione. Ma ieri un pezzo di questo velo è caduto, finalmente. Come ha spiegato la State Administration of Foreign Exchange (Safe), l’agenzia che per conto della Banca centrale gestisce i flussi in valuta estera, le attività del fondo sovrano China Investment Corp, non sono incluse nel riserve valutarie del Paese.
La spiegazione dovrebbe sostenere la tesi negazionista, ma la realtà è un’altra: le riserve non sono un pozzo senza fondo, la difesa della valuta soprattutto dalla speculazione sullo yuan offshore è costata l’anno scorso la bellezza di 513 miliardi di dollari. Nel 2015 un trilione di yuan avrebbe preso strategicamente la via dell’estero. Dire che a febbraio le riserve della Cina sono scese al livello più basso negli ultimi quattro anni, ma a un ritmo più lento rispetto ai mesi precedenti, non assicura certo al Paese sonni tranquilli.