Il Sole 10.3.16
Borsa cinese in caduta, intervengono i fondi
Dopo il nuovo crollo del listino in apertura, scatta il «paracadute» degli investitori: alla fine -1,3%
di Rita Fatiguso
PECHINO
Altra giornata nera per le Borse cinesi, con l’indice Shanghai
Composite in perdita che chiude a meno 1,3 per cento. Tra le banche
Icbc, la prima per capitalizzazione di Borsa, registra la peggiore
performance perdendo l’1,6% mentre i titoli di settori a rischio come
Jiangxi Copper Co, Yanzhou Coal Mining Co e Shanxi Lu’an fanno ancora
peggio andando sotto del 7 per cento.
Vittime dell’overcapacity,
uno dei problemi più difficili da affrontare per il Governo cinese, le
aziende del settore dell’acciaio soffrono di più i contraccolpi delle
Borse. Proprio in quest’ultimo periodo, inoltre, sono in corso prove
tecniche di ristrutturazione in altri settori maturi, è il caso dei
produttori di cemento, in grave crisi. I tentativi di fusione tra vari
gruppi si stanno scontrando contro una serie di gravi problemi tecnici.
Logico
che i mercati penalizzino maggiormente queste aziende, molte delle
quali a loro volta in crisi a causa dell’andamento dei prezzi delle
materie prime. Si tratta di una spirale difficile da spezzare, tanto più
che incombe lo spettro di milioni di licenziamenti legati al
cambiamento in corso, tutti lavoratori molto difficili da riconvertire.
Così ieri lo Shanghai Composite ha chiuso a 2,862.56, mentre anche Hong Kong continuava ad accumulare perdite.
L’indice
Hang Seng China Enterprises si è fermato sul finire a meno 0,8 per
cento, mentre l’indice Hang Seng è sceso dello 0,1 per cento. L’indice
CSI 300 è sceso dell’1,2 per cento.
Per ridurre le perdite è
scattata la corsa dei fondi a stabilizzare il mercato, un copione già
visto in finale di seduta in altre circostanze in cui per i vertici di
Pechino è fondamentale mantenere i mercati stabili. In questo contesto
le risorse valutarie cinesi si trovano a dover affrontare il problema
dell’assottigliamento costante. La Banca centrale attraverso Safe ha
fatto sapere che la dotazione dei fondi sovrani non viene inclusa nelle
riserve, un elemento che dovrebbe confortare la tesi che le riserve non
sono in pericolo. Fatto sta che il livello scende pericolosamente di
mese in mese, la tendenza si sta consolidando, dopo anni di crescita
grazie alla quale la Cina ha accumulato la dote più consistente al
mondo.
Proprio mentre in questi giorni è in corso la seduta
plenaria annuale del Parlamento che, tra l’altro, deve approvare il
nuovo piano quinquennale valido di qui fino al 2020.
Non è solo
l’indebolimento dello yuan offshore e la fuga di capitali a deprimere i
mercati, quest’anno i listini hanno già lasciato sul terreno il 20%,
quanto il persistente calo dell’import-export.
Un fenomeno ormai
strutturale indotto da un doppio fenomeno, la debolezza della domanda
sia esterna sia interna. La domanda esterna non cresce a causa della
recessione mondiale, mente quella interna soffre altrettanto perché i
tentativi di stimolare i consumi si stanno rivelando insufficienti.
Le
importazioni hanno registrato ribassi continui, a febbraio sono
crollate del 13,8 per cento con un surplus della bilancia commerciale di
32,6 miliardi di dollari.
La tesi che i dati siano distorti a
causa della festività del Capodanno lunare non basta a spiegare il
quadro degli indicatori tutti molto negativi. Certo, la ripresa delle
attività anche dopo la chiusura dei lavori parlamentari sarà un test
importante per capire quanto è grave la situazione.
Le previsioni
ufficiali prevedono un aumento del 6,7 per cento in questo trimestre e
il 6,5 per cento per l’intero anno, in pratica la cosiddetta bottom line
richiamata espressamente sabato scorso nel discorso di apertura del
Parlamento da Li Keqiang, il premier cinese, il quale ha indicato per la
prima volta un aumento ricompreso tra il 6,5 per cento e il 7 per
cento. I lavori parlamentari si chiudono il prossimo 16 marzo, entro
quella data difficilmente sarà possibile fornire un quadro positivo.