Il Sole 10.3.16
Per la riforma del Parlamento creare in anticipo giuste condizioni
di Montesquieu
Si
è fatta da qualche tempo più forte l’attenzione alla fase di attuazione
delle leggi, rispetto al momento, tradizionalmente considerato
esauriente, dell’approvazione parlamentare. Lo si deve, in buona parte,
alle sensibili antenne con cui al capo del governo Matteo Renzi riesce
di captare il momento del contatto tra gli effetti di una legge e
l’interesse dei cittadini. Una sensibilità alla quale il contorto
pensiero politico del nostro paese guarda con singolare diffidenza,
quasi che l’interesse reale dei cittadini debba prescindere dai
sentimenti e dai desideri degli stessi. Fatti sempre salvi gli eccessi,
dai quali è bene guardarsi, per i quali il consenso è l’unico fine
dell’azione politica.
Da qui l’importanza di creare le condizioni
per un impatto che sia ad un tempo morbido ed incisivo della riforma del
parlamento, condizioni in parte recentemente anticipate su queste
colonne in tema di ripristino dell’iter legislativo tracciato dall’art.
72 della costituzione. Senza mai dimenticare che sarà il voto dei
cittadini a stabilire l’entrata in vigore della riforma, il lavoro di
predisposizione va fatto per tempo, e non sarà comunque un lavoro
sprecato. Non sarà tempo sprecato il raggiungimento dell’obiettivo del
recupero del procedimento legislativo e dell’abbandono dei cosiddetti
“riti irrituali”, delle leggi di delega senza princìpi direttivi e dei
decreti legge senza urgenza o necessità, e senza limiti di materia; né
il buon funzionamento della riforma del parlamento richiederà un impegno
meramente organizzativo, e ancor meno sarà frutto di un fatto
meccanico. Un impatto positivo della riforma del parlamento
sull’ordinamento e sulle relazioni istituzionali, in caso di vittoria
del sì al referendum, è nell’interesse di tutti, anche di quanti si
dichiarano oggi legittimamente per il suo rigetto.
La sicurezza
derivante da una successiva, seconda lettura nell’altra camera ha avuto
fino ad oggi la funzione psicologica e rassicurante dell’errore
riparabile, quella che la rete sottostante ha per i trapezisti in volo; o
la prospettiva del giudicato al momento del giudizio di primo grado.
È
importante immaginare fin d’ora le novità del nuovo assetto
parlamentare, non affidarsi al caso: la camera dei deputati – oramai
sostanzialmente “parlamento”, senza spartizioni se non episodiche con il
tradizionale rivale di palazzo Madama - avrà una maggioranza
parlamentare unitariamente distribuita, senza zone pericolanti o
presidiate dalle minoranze, numericamente forte e inusitata. Non si
dovrebbero così creare le situazioni di necessità che hanno determinato
il fenomeno delle migrazioni da uno schieramento all’altro: con
l’impossibilità di distinguere, almeno con certezza, mercenari ed
idealisti. Un po’, con il rispetto dovuto al dramma di tutti i veri,
incolpevoli migranti, come tra gli “economici“ e i “richiedenti asilo” .
Questa
ineditamente solida maggioranza si avvarrà di diritti garantiti
all’interno di un iter legislativo cadenzato e modulato sul ritorno ai
canoni dell’art. 72 della costituzione, con il corredo di tempi certi; e
sarà, per compenso, limitata dalla rinuncia ai vantaggi degli ormai
consolidati “riti irrituali” incompatibili con la concorrente,
riconquistata autonomia del parlamento. Le minoranze, a loro volta,
saranno tutelate dalla garanzia di un proprio statuto, che garantisce
diritti certi ma rispettosi del principio di maggioranza, all’interno di
un assetto che le restituisca, le stesse minoranze, al ruolo prevalente
di testimonianza programmatica e di denuncia degli errori e delle
insufficienze del governo. In questo quadro, il confronto parlamentare
potrà tornare ad essere, per gli elettori, un terreno di valutazione
prospettica delle future scadenze elettorali. La fotografia del futuro è
sempre un esercizio difficile, ma il suo tratteggiamento è impegno
necessario perché di vera riforma – sempre se confermata dal voto
popolare - si tratti: con l’ambizione di riequilibrare finalmente la
relazione fin qui sbilanciata tra legislativo ed esecutivo, e la
effettiva, riconoscibile separazione tra i due poteri e le relative
funzioni. La relazione tra governo e parlamento è stata dominata dalle
camere nella cosiddetta prima repubblica, per i vincoli di politica
internazionale che mantenevano al governo sempre uno dei due grandi
partiti, e l’altro sempre all’opposizione; e dominata dal governo negli
ultimi vent’anni, da quando si è resa possibile finalmente l’alternanza
dei partiti al governo del paese, senza peraltro adeguarvi le regole del
procedimento legislativo.
Parlamento nuovo, restaurato, impone
responsabilità alla politica, al di là del cambiare dei ruoli. In primo
luogo, ingigantiscono ruolo e responsabilità del presidente della camera
divenuto guida e garante del nuovo assetto, con un ruolo di garanzia
del nuovo equilibrio tra parlamento e governo che richiede una terzietà
non di facciata, ed una autonomia dai partiti e dal governo quale da
decenni non si richiede se non al capo dello stato. Diviene, il
presidente della camera, la seconda figura di garanzia del sistema,
accanto a quella del garante supremo che sta al Quirinale: e ai
connotati ricercati per quest’ultimo dovranno richiamarsi le forze
politiche nell’individuazione della fisionomia del vertice parlamentare.
Lasciando perdere le sperimentazioni di soggetti del tutto privi di
esperienza, contrarie ad ogni principio meritocratico o funzionale; ed
evitando la scelta di personalità che giochino in un ruolo terzo le
ambizioni di un futuro di potere politico.