martedì 8 marzo 2016

il manifesto 8.3.16
Gaza stritolata dal braccio di ferro Egitto-Turchia
Medio Oriente. Il Cairo accusa Hamas di aver partecipato attivamente alla preparazione e alla realizzazione dell'attentato che lo scorso giugno uccise il procuratore capo Hisham Barakat. Il movimento islamico nega con forza l'accusa
Paga come sempre la popolazione di Gaza, stretta nella morsa dal blocco attuato da Israele e dall'Egitto
di Michele Giorgio

GAZA Quando ieri hanno letto i titoli della stampa egiziana, i leader di Hamas a Gaza hanno avvertito un brivido lungo la schiena. «Arrestati gli assassini del procuratore generale Hisham Barakat», è stato quello di al Akhbar, giornale megafono del regime di Abdel Fattah al Sisi che, con un sommario inquietante, ha aggiunto «La Turchia ospita la mente dell’operazione e Hamas ha addestrato gli attentatori». Simili i titoli di altri quotidiani egiziani. Il Cairo procede come una ruspa, deciso ormai a travolgere Hamas assieme ai nemici dichiarati, i Fratelli Musulmani cacciati assieme al presidente Mohammed Morsi dal golpe militare del luglio 2013. I rapporti tra l’Egitto e il movimento islamico sono andati peggiorando con il trascorrere dei mesi dopo il colpo di stato. A farne le spese sono stati soprattutto i civili palestinesi. Davanti a loro, che già soffrono da quasi 10 anni le conseguenze del blocco di Gaza imposto da Israele – senza contare i morti e le distruzioni causate da tre offensive militari israeliane del 2008, 2012 e 2014 -, si sono abbassate anche le sbarre del valico di Rafah con il Sinai egiziano, l’unica porta sul mondo che avevano a disposizione per curarsi, studiare e viaggiare all’estero. «Per certi versi, il blocco egiziano di Gaza è persino più pesante di quello che attua Israele. Tutti sanno che Israele è nemico dei palestinesi mentre gli egiziani dovrebbero comportarsi come nostri fratelli», commentava ieri con amarezza Tareq Kahlout, un reporter di Gaza.
Hamas nega, con forza, di essere coinvolto nell’attentato che lo scorso giugno uccise al Cairo Hisham Barakat, il procuratore capo che seguiva migliaia di processi contro gli islamisti messi fuori legge. Un’accusa resa ancora più forte dall’ufficialità dell’annuncio fatto domenica dal ministro dell’interno Magdy Mohamed Abdel Ghaffar, secondo il quale il movimento islamico palestinese avrebbe «addestrato» e «preparato» i militanti della Fratellanza musulmana a compiere l’attentato e «supervisionato l’attuazione» dell’attacco. Il piano, ha proseguito Ghaffar, sarebbe stato ordinato da quadri della Fratellanza fuggiti in Turchia guidati da un medico, Yehia El-Sayed Ibrahim Moussa, imputato in vari processi. «Non è possibile che l’Egitto ci rivolga queste accuse, non hanno alcun senso – diceva ieri il portavoce di Hamas, Salah Bardawil, a margine della conferenza stampa tenuta al Commodore Hotel di Gaza city – «Da tempo cerchiamo di ricostruire buone relazioni con i fratelli egiziani per porre fine all’assedio di Gaza, il punto che più di ogni altro impegna i nostri sforzi. Non abbiamo alcun motivo per agire contro l’Egitto, tutti sanno che i nostri nemici sono soltanto gli occupanti israeliani». Bardawil ha detto che Hamas è pronto in qualsiasi momento, anche intervendo al processo in Egitto, a dimostrare la sua totale estraneità dall’attentato ad Hisham Barakat.
Hamas è stato dichiarato “gruppo terrorista” dall’Egitto il 28 febbraio dello scorso anno. Qualche mese dopo però una corte egiziana ha annullato la sentenza contro il movimento islamico al potere a Gaza dal 2007, lasciando immaginare un miglioramento delle relazioni tra le due parti precipitate al punto più basso dopo il golpe del 2013, quando il regime di al Sisi ha colpito duramente i Fratelli Musulmani e le organizzazioni alleate o affiliate, come Hamas. Le cose però sono andate in modo diverso, di pari passo con il peggioramento delle relazioni tra l’Egitto e la Turchia. Erdogan aveva appoggiato molto Morsi e i Fratelli Musulmani e non ha mancato di condannare il golpe militare del 2013. Il leader turco è anche, assieme al Qatar, uno sponsor dichiarato di Hamas, altro motivo che lo rende un nemico agli occhi di al Sisi. E non deve essere sottovalutato il significato della “riconciliazione” in atto tra Turchia e Israele (sei anni dopo l’uccisione di 10 passeggeri turchi a bordo della nave Mavi Marmara diretta a Gaza compiuta da commando israeliani), vista con diffidenza e sospetto dal Cairo. Ankara e Tel Aviv infatti starebbero negoziando, almeno a dar credito alla stampa locale, anche una serie di misure volte ad allentare l’assedio di Gaza, tra le quali la costruzione di un porto galleggiante, secondo alcune fonti, davanti alla costa della piccola striscia di territorio palestinese. Un progetto che non piace al Cairo che vuole che il porto di el Arish resti il punto di arrivo via mare per aiuti umanitari e materiali diretti a Gaza, assieme a quello israeliano di Ashdod.
«Hamas e i palestinesi di Gaza – conclude Tareq Kahlout – rischiano di rimanere stritolati nel braccio di ferro tra Egitto e Turchia».