il manifesto 8.3.16
Idomeni, confine tra Grecia e Macedonia
di Anna Maria Merlo
Accettare
il fatto compiuto dell’Europa chiusa in un bunker, con la strada dei
Balcani bloccata, e affidarsi alla buona volontà della Turchia, grazie
al viatico del denaro, inghiottendo il boccone amaro della repressione
della stampa: cioè la “filosofia” dell’ungherese Viktor Orban più l’idea
di Angela Merkel di appoggiarsi su Ankara. Con un’idea diabolica, per
convincere la Grecia: anche i rifugiati con la prospettiva di essere
candidati all’asilo potranno essere rinviati in Turchia, per poi venire
riammessi nella Ue, per via regolare, evitando le mafie (è il principio
surrealista dell’”uno a uno”: uno riammesso in Turchia, uno ripreso
dalla Ue). Un altro estenuante Consiglio europeo straordinario
“dell’ultima chance” sui rifugiati, ieri a Bruxelles, ha dato in
spettacolo le divisioni e gli egoismi europei, in una trattativa con la
Turchia a livello di bazar, con la Grecia senza nessuna vera garanzia
per evitare di essere la vittima sacrificale e trasformarsi in un
immenso campo profughi (con qualche centinaia di milioni di euro come
medicina). Il vertice è stato preceduto da una maratona tra Merkel e il
primo ministro turco, Ahmet Davutoglu, durato domenica notte fino alle 3
del mattino.
Ankara ha alzato la posta, arrivando a chiedere di
raddoppiare da 3 a 6 i miliardi promessi dalla Ue (entro il 2018), per
accettare di “dissuadere” i rifugiati ad intraprendere il viaggio verso
le sponde greche tramite i passeurs. Davutoglu, ha anche avanzato altre
richieste precise a Bruxelles: togliere i visti Schengen per i cittadini
turchi dal prossimo giugno, cioè senza aspettare il “rapporto” della
Commissione previsto per ottobre e l’apertura di altri 5 capitoli nel
negoziato per l’adesione della Turchia alla Ue. Sul primo punto, gli
europei pur restando molto reticenti sono disponibili e, in compenso,
chiedono che la Turchia adotti il passaporto biometrico e riveda la
circolazione con i paesi islamici. Sul processo di adesione alla Ue, ci
sono molti freni. In Germania, per esempio, dove Merkel deve far fronte
ai rischi delle elezioni in tre Länder domenica prossima
(Renania-Palatinato, Bade-Wurtemberg, Sassonia-Anhalt) e alla
contestazione all’interno della Cdu che teme la crescita elettorale di
Afd, il ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, ha espresso “dubbi”
sulle possibilità per la Turchia di diventare paese membro della Ue.
L’indignazione per la repressione del quotidiano di opposizione Zeman si
è presto dimostrata solo una posizione di circostanza da parte di
alcuni dirigenti Ue, come François Hollande, che hanno fatto subito
calare il silenzio sulle deboli critiche, nella speranza di concludere
un accordo con Davutoglu. Renzi ha fatto un po’ la voce grossa,
minacciando di non firmare se il caso Zeman non viene esplicitamente
evocato.
La Turchia chiede più soldi per applicare, in pratica,
l’accordo che aveva concluso con la Grecia nel novembre 2015, finora mai
applicato: la riammissione dei migranti “irregolari”, che non hanno
possibilità di ottenere l’asilo, ma anche dei siriani, che hanno la
vocazione di avere l’accoglienza per la convenzione internazionale del
1951. La Ue chiede alla Turchia di lottare contro le filiere mafiose e
di sorvegliare le frontiere. Ci sarà l’ “aiuto” determinante della Nato:
Ankara ha accettato, domenica, la presenza di una missione
dell’Alleanza atlantica nelle sue acque territoriali. L’operazione Nato –
ufficialmente contro i passeurs – sarà rafforzata, con l’arrivo di tre
navi britanniche e una francese. La Ue si impegna a rispettare un
rapporto “uno a uno” tra i migranti riammessi in Turchia e i rifugiati
che dovrebbero venire accolti nella Ue in nome del diritto d’asilo. La
riammissione in Turchia riguarderà migranti sbarcati in Grecia da non
più di 15 giorni (quindi non riguarda chi è già presente), mentre la Ue
si impegna a organizzare un’accoglienza per vie legali di coloro che
sono stati schedati in Turchia come aventi diritto all’asilo, nella
speranza di limitare gli arrivi selvaggi e il dominio delle mafie. Ma
queste “reinstallazioni” saranno fatte solo su base volontaria: il
“piano Juncker” dell’autunno scorso, sul ricollocamento di 160mila
profughi è miseramente fallito, solo qualche centinaio (meno di mille)
ha trovato rifugio in Europa, mentre contemporaneamente molti paesi, a
catena, hanno chiuso le frontiere e non vogliono sentir parlare di
accoglienza. L’accordo evoca anche una “cooperazione” Ue-Turchia per la
creazione di “zone sicure” per i profughi sul territorio siriano.
Passa
cioè la linea Orban e l’accettazione del fatto compiuto, difese nel
fine settimana anche dal presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, che
ha proposto la seguente formulazione nel testo di conclusione: “i flussi
irregolari di migranti sulla strada dei Balcani occidentali son finiti,
la strada è chiusa”, dove nel 2015 hanno transitato 850mila persone.
L’Albania e la Bosnia sono inquiete, perché potrebbero rappresentare una
strada alternativa. L’Austria non cede sul blocco delle entrate e si
auto-esclude dal futuro sistema di reinstallazioni, con l’argomento che
ha già accolto quasi 40mila rifugiati. I paesi dell’est impongono a
tutti la filosofia del bunker e non hanno nessuna intenzione di
dichiararsi “volontari” per l’accoglienza. Sullo sfondo, in un paese
dopo l’altro, domina la paura della crescita dell’estrema destra (come
hanno dimostrato i risultati delle legislative in Slovacchia, che avrà
la presidenza semestrale della Ue dal prossimo 1° luglio, con dei
neo-nazi eletti al parlamento). David Cameron proclama che la Gran
Bretagna ha “forti accordi” per non partecipare, la Danimarca invoca
l’opt out.
La Turchia continua ad avere in mano l’arma del
ricatto: Erdogan, da Ankara, ha urlato ieri che il paese ha già speso 10
miliardi per i rifugiati e che dei 3 miliardi promessi dalla Ue non si è
visto un soldo, ma nei fatti in Turchia solo il 15% dei 2,7 milioni di
profughi è registrato, quindi c’è molto margine di manovra per
continuare ad utilizzare questa miseria umana per ricattare gli europei.
Alexis Tsipras è ben solo a ripetere che la Ue deve scegliere tra
“paura e razzismo e la solidarietà”.