il manifesto 8.3.16
Roma, tornano 8 elettori su 100
Primarie. Nella Capitale partecipazione ai minimi, strano boom delle schede bianche
Dovevano
essere primarie «aperte», nel senso che tutti erano invitati ai seggi,
anche i non elettori del partito democratico; sono state invece primarie
assai ristrette. A Roma, dopo una mezza giornata di polemiche,
soprattutto interne, sulla mancata ufficializzazione dei risultati – «a
quasi 24 ore dallo spoglio siamo ancora a circa 50mila, ma circa è un
numero che non esiste», ha detto a un certo punto Nico Stumpo, ex uomo
macchina della minoranza bersaniana del Pd – alle sette di sera la
federazione del commissario Matteo Orfini ha tirato le somme. I votanti
sono stati 47.300, i voti validi ancora meno, 43.600, perché assai
stranamente visto il tipo di votazione ci sono stati quasi 4mila voti
non validi, soprattutto schede bianche.
Primarie dunque per nulla
affollate, anche se dal partito nel corso della domenica veniva notizie
di «file ai seggi». Che erano 193 e sono stati tutti aperti per dodici
ore (dalle 8 alle 22), con una media dunque di venti elettori ogni ora.
Non è stato un assalto. E non sembra aver funzionato la formula delle
primarie aperte, visto che facendo un po’ di conti a Roma sono andati a
votare appena otto elettori ogni cento di quelli che nel 2014 hanno
scelto il Pd alle elezioni europee o nel 2013 alle politiche. Un po’ di
più – undici ogni cento – facendo invece il confronto con quelli che nel
2013 hanno votato per i democratici, la lista Marino o gli alleati,
nelle elezioni per il sindaco.
Il crollo più direttamente
misurabile è proprio quello riferito alle primarie per il comune, che
nel 2013 richiamarono 100mila elettori romani. «Allora c’erano le truppe
cammellate dai capibastone poi arrestati, il pantano che portò a mafia
Capitale, le file dei rom», ha liquidato la faccenda Orfini (provocando
la risentita reazione dell’Associazione nazione rom). Ma assai più
imbarazzante per il partito sarebbe il confronto con precedenti e più
gloriose primarie, come quelle per il segretario del 2013 o del 2009
(entrambe interne al Pd, in entrambi i casi votarono 150mila romani).
Domenica scorsa ci si è fermati sul livello di partecipazione delle
«parlamentarie», organizzate in tutta fretta tra natale e capodanno nel
2012 per scegliere i candidati al parlamento.
Il risultato
ufficiale vede Roberto Giachetti più che doppiare Roberto Morassut,
quasi 28mila voti contro poco più di 12mila. Terze classificate le
schede bianche, 2.866. Poi il generale Domenico Rossi, che con 1.320
voti ha superato in scioltezza le schede annullate. Terzultima Chiara
Ferraro (915), penultimo Stefano Pedica (594), ultimo il verde
Gianfranco Mascia, quello dell’orso (529).
Se prima di domenica
Morassut aveva detto che sotto i 50mila elettori sarebbe stato
«imbarazzante», Giachetti più prudente aveva previste «decine di
migliaia» di voti. A risultato acquisito, la minoranza bersaniana è
partita all’attacco. Anche perché questa è la settimana in cui cercherà
il massimo di visibilità per l’assemblea di corrente organizzata a
Perugia. «Non possiamo far finta di non vedere i numeri, c’è un disagio
dei nostri elettori, c’è un rapporto logorato», ha detto Roberto
Speranza, candidato candidato segretario nel congresso in cui bisognerà
sfidare Renzi, quando ci sarà. I bersaniani mettono sotto accusa il
doppio incarico di Renzi: «Non abbiamo un segretario a tempo pieno, non
sta funzionando», prendendosi però delle rispostacce dalla maggioranza.
«Parlano come i grillini», «vogliono solo danneggiare il partito»,
ripetono i renziani. Più interessante è la timida presa di distanza del
ministro Graziano Delrio, renziano da tempo uscito dal «giglio magico».
«Mi preoccupa la scarsa affluenza perché credo che la democrazia abbia
bisogno di partecipazione», aveva detto il ministro delle infrastrutture
domenica in tv. Ieri ha aggiunto che «a Roma si poteva fare meglio,
veniamo da un periodo non facile e dobbiamo continuare a lavorare».
Parole stonate rispetto al governativo coro di giubilo.