il manifesto 8.3.16
Senza partito
di Norma Rangeri
Gli
elettori hanno girato al largo e disertato i gazebo delle primarie. Sia
a Roma che a Napoli, le due grandi città chiamate a esprimere il
candidato sindaco del Pd, ha partecipato la cerchia sempre più ristretta
dei militanti e simpatizzanti. Certo non si tratta di fulmine a ciel
sereno. E anche se lo stato maggiore del Nazareno minimizza sulla
scarna, desolante affluenza, ci pensa Massimo D’Alema ad affondare il
coltello nella piaga del grande flop, vedendo «più osservatori che
protagonisti».
La consolazione della vicesegretaria Serracchiani,
che mette a confronto i partecipanti di Roma con i tremila clic del M5S
per scegliere la candidata grillina, appare perfino penosa perché mette
in evidenza qual è la paura del Pd nella capitale. Mentre il vero
confronto – utile per correggere gli “errori” – dovrebbe essere fatto
con i centomila votanti delle primarie 2013 per il sindaco Marino (che,
almeno oggi, gongola). Annacquare il voto di allora con la presenza dei
mafiosi, dei «capibastone poi arrestati», come suggerisce il commissario
Orfini, denota nervosismo, anche se comprensibile. I numeri dicono che
da solo Marino aveva raccolto più voti di tutti i candidati messi
insieme dalla primarie di domenica.
Adesso il passa parola è
nascondere la realtà dell’evidente declino del partito. Una realtà
raccontata dai numeri (accettando per buoni i 43mila votanti di Roma e i
30mila di Napoli), che per la capitale non si possono spiegare solo con
l’effetto shock di Mafia Capitale, la pentola scoperchiata del sistema
che legava a doppio filo politica e malaffare, con il conseguente
distacco e disgusto dell’opinione pubblica e dei militanti. Questo flop
nella partecipazione è il segno di un progressivo distacco con il
“popolo della sinistra” (che probabilmente non esiste più), accentuato
dal fatto che Roma e Napoli sono due città dove il Pd è stato
commissariato. Ma è anche la conseguenza della strategia politica
renziana (non è chiaro quanto lungimirante), di un leader cioè che mal
sopporta il partito ereditato dalla stagione bersaniana.
Che non
ci sarebbe stata la fila ai gazebo per scegliere tra Giacchetti e
Morassut nella capitale, o tra Bassolino e Valente a Napoli, non era
largamente prevedibile. Era nell’ordine delle cose. E ascoltando e
leggendo le testimonianze ai seggi, risulta evidente lo sconforto di
quell’elettore di centrosinistra che non trova più le motivazioni per
impegnarsi in un partito che sembra andare in un’altra direzione.
D’altra parte il segretario-presidente il suo rapporto diretto con
l’elettore se lo va a cercare in televisione, pubblica e privata, che lo
ospita generosamente offrendogli percentuali bulgare. E pazienza se il
gazebo di strada resta vuoto quando a riempire quello mediatico ci pensa
Canale5 con il salotto domenicale di Barbara D’Urso.
Anche se
l’opposizione alza la voce, verrà messa tra parentesi. L’obiettivo
principale, e non marginale, di Renzi è vincere le elezioni
amministrative. Se dovessero andar male sarebbe l’inizio della sua fine
politica. Tuttavia c’è ben poco da sorridere a sinistra del Pd. Al
momento, soprattutto a Roma, regnano l’indecisione sul candidato e sullo
schieramento che lo sosterrà. Il voto ai gazebo dimostra che tra gli
elettori storici di sinistra c’è disorientamento, smarrimento. Un vuoto
politico da riempire al più presto.