il manifesto 4.3.16
Il socialismo europeo non fa argine alla xenofobia
Migrazioni.
Dominati da un ceto politico che aderisce agli umori del momento, i
vecchi partiti socialisti e socialdemocratici sull’immigrazione si
ritirano dai valori della loro storia
di Piero Bevilacqua
Occorrerà
conservare in una una cineteca speciale, in un archivio dell’orrore, i
filmati che i nostri telegiornali fanno entrare tutti i giorni nelle
nostre case: le immagini delle barriere e dei fili spinati, i fotogrammi
di una guerra inimmaginabile fino a poco tempo fa e forse unica nella
nostra storia. Quella che varie polizie delle vecchie frontiere d’Europa
combattono contro donne, bambini, anziani, giovani, scampati alle
guerre innescate dall’Occidente nelle periferie del mondo. Occorrerà
conservare questi documenti di ottusa e primitiva malvagità alle
generazioni che verranno perché — se i Paesi del Vecchio Continente non
saranno definitivamente inghiottiti dalla barbarie — possano osservare,
in tempi meno oscuri dei nostri, di che cosa sono stati capaci i loro
padri e nonni.
Ma forse occorre uscire dall’ immagine indefinita
che assegna a popolazioni indistinte il marchio di una così ottusa e
ostinata ferocia. La notte in cui tutte le vacche sono nere non ha mai
fatto comprendere niente a nessuno. Se guardiamo ad alcuni paesi
dell’Europa occidentale, come la Francia, l’indistinto di una umanità
genericamente ostile e senza misericordia si scioglie. Il grande paese
che ha fondato la modernità della politica, innalzando il vessillo della
libertà, dell’uguaglianza, della fraternità, il paese governato dai
socialisti del presidente Hollande, muove oggi a Calais una sua abietta
guerra contro una massa di disperati, a cui toglie perfino le misere
baracche e le tende in cui era da mesi accampata. Com’è possibile, come
si sia arrivati fin qui?
Questa domanda non ci pone solo davanti a
un generico arretramento di civiltà che oggi colpisce indistintamente
l’Europa. Essa ci squaderna un fenomeno politico di prima grandezza che
già la vicenda greca dello scorso anno ci aveva illustrato con desolante
chiarezza. I vecchi partiti socialisti e socialdemocratici europei,
quello tedesco come quello britannico, sono stati intimamente ripuliti
di ogni contenuto ideale e di valore. Le loro dirigenze hanno gettato
via come vecchio tutto l’antico bagaglio di solidarietà che ha segnato
la loro storia e sono diventati moderni, come vuole il capitalismo
attuale e la sua razionalità neoliberista.
E’ una perdita
gigantesca alla quale addebitare non poco dell’ arretramento del
processo di unificazione dell’Europa. Ma non ci si può fermare alla
recriminazione e allo sdegno. Occorre capire con freddezza e lucidità
che cosa è accaduto e accade, tentare delle contromisure. Che cosa vuol
dire per i partiti politici diventare moderni, come vuole il linguaggio
pubblicitario corrente ? Moderni vuol dire essere competitivi nel
mercato politico, attenti al mutare degli umori della “gente”, vale a
dire i cittadini ormai interamente assimilati agli elettori quali meri
consumatori di messaggi. Moderni significa cercare di vincere, contro
gli avversari competitori, il campionato pluriennale delle elezioni
politiche e amministrative.
Per questa via una democrazia
interpretata come passiva adesione agli umori del momento, diventa una
sua perversione perniciosa. E’ una novità storica rilevantissima. Un
tempo i socialisti francesi – come gli altri partiti popolari- avrebbero
combattuto a muso duro contro le posizioni xenofobe dei loro avversari,
non solo senza cedimenti di fatto alle loro pretese, ma mettendo in
atto quella pedagogia di massa che i grandi partiti popolari e di
sinistra hanno esercitato per oltre un secolo. I partiti non ancora
trasformati in ristretti club dominati dal ceto politico, avrebbero
combattuto contro le destre xenofobe rassicurando le popolazioni,
disinnescando i meccanismi della paura, mostrando perfino l’utilità
economica di un ingresso rilevante di popolazione giovane nei loro vasti
territori.
La Francia è uno dei paesi a più bassa densità
demografica d’Europa. Ma i partiti non sono più portatori e divulgatori
di conoscenze dei reali fenomeni sociali e quindi non sono più guide,
ispiratori di orientamento, elaboratori di orizzonti più avanzati di
civiltà. Essi corrono dietro agli imprenditori della paura, cercano di
non farsi battere nella competizione messa in atto dai partiti della
destra, cedendo alla loro visione generale non solo perché non hanno più
alcuna visione, ma perché è mutato il fine del loro stesso agire.
Questo fine – ciò è ormai chiaro sino all’ovvietà – è la loro
affermazione, il loro successo e la loro sopravvivenza e riproduzione di
ceto.
Come può dunque, una sinistra che non vuole arrendersi a
questa disfatta storica, porre in atto forme di resistenza, allestire
contromisure? Immenso problema, come sappiamo. Ma qualche strada da
percorrere è già stata esplorata e occorrerebbe percorrerla con più
determinazione. Oggi appare velleitario e ingenuo richiamare i vecchi
partiti ai grandi valori del loro passato. La morale non si insuffla con
le esortazioni e con le prediche. Ma dove vien meno la sostanza morale,
il diritto è capace, se non di surrogarla, di porre qualche argine. E
quel che il diritto può fare è impedire (o limitare fortemente) che la
militanza politica diventi una carriera.
Non potremo mai, almeno
in un prevedibile futuro, imporre a chi opera sulla scena politica di
rappresentare e promuovere esclusivamente l’interesse generale, se non
faremo in modo che egli sia, per legge, impossibilitato a costruire
sulla politica le proprie personali fortune. Occorre limitare
drasticamente la durata delle cariche pubbliche, separare queste ultime
da quelle di partito, sottoporre a trasparente monitoraggio il bilancio
dei rappresentanti e quello della formazione politica a cui
appartengono. E cosi via. Non c’è altro modo, per sottrarre il ceto
politico alla tentazione di cedere alla vie più facili per ottenere
consenso e quindi di inseguire i populismi. E costituisce una strada
importante per sottrarlo alle sirene del potere economico e finanziario.
Occorre spezzare alla radice questo legame, che condanna la politica
all’impotenza. Chi fa politica deve rispondere alle domande dei
cittadini e ridiventare cittadino dopo pochi anni di impegno pubblico.
In
Italia la sinistra ha compiuto su tale terreno uno sforzo di
elaborazione importante negli ultimi mesi, grazie all’iniziativa di
Luigi Ferrajoli e della Fondazione Basso. Occorrerebbe che queste
elaborazioni trovassero una più ampia circolazione e visibilità, perché
diventino un patrimonio comune, un marchio di innovazione reale del
nostro schieramento.