venerdì 4 marzo 2016

il manifesto 4.3.16
Il Pd, Denis e la sinistra, triangolo impossibile
Primarie Pd. Verdini cala sulla sfida di Roma. Giachetti: i problemi sono altri. Morassut: mai con Ala. Nella Capitale potrebbe finire come a Milano: una lista arancione per attirare i voti di Sel. Confronto light fra i candidati. I due Roberti divisi su come allargare il campo
di Daniela Preziosi

Roberto Giachetti, 55 anni, fisico nervoso e quell’eterno filo di barba da radicale sempre in trincea, si spazientisce alla parola «Verdini». Repubblica scrive che il fondatore di Ala sarebbe pronto a far votare lui a Roma e Sala a Milano. La notizia viene subito smentita. Ma quanto vale la smentita di quel burlone dell’ex braccio destro di Berlusconi ora best friend del governo Renzi? Giachetti non vuole neanche parlarne: «È una non notizia. I romani hanno altri problemi: oggi è caduto un albero sulla Laurentina e sono morte due persone, ieri parlavamo di topi morti. Ma davvero possiamo pensare che il problema della gente è quello che farà Verdini? Che peraltro è di Firenze e non voterebbe a Roma».
Nel suo quartier generale la «non notizia» è presa come una polpetta avvelenata. Capace di respingere i simpatizzanti dai gazebo che si apriranno domenica alle otto (195 in tutta la Capitale, info su primarieroma2016.it), dopo una campagna alla camomilla. Sei i candidati: Giachetti, appunto, renziano e vicepresidente della camera, già braccio destro del primo Rutelli; Roberto Morassut, 53 anni, veltroniano ma sostenuto anche dai bersaniani e dal ’campo democratico’ di Goffredo Bettini; Stefano Pedica, ex Idv ora Pd; l’ex viola ex arancione ora verde Gianfranco Mascia (va in giro con un orso di peluche per ricordare il cartone Masha e Orso, l’effetto circense è assicurato a tutta la compagnia); il sottosegretario alla Difesa e generale in pensione Domenico Rossi; e infine Chiara Ferraro, 25enne autistica non alla prima corsa elettorale per scelta di un padre, Maurizio, che parla per lei e vorrebbe «trasformare la città in un set riabilitativo», cosa sempre augurabile.
La questione dell’affluenza è cruciale: un voto più ampio e di opinione secondo la vulgata favorirebbe Giachetti, uno più militante favorirebbe Morassut. Allo scorso giro, nel 2013, furono quasi 100mila i cittadini nei gazebo, e il vincitore Ignazio Marino prese il 55 per cento. Giachetti finge di non preoccuparsene: «Se esco con un’investitura di decine di migliaia di persone, io ballo». Per Morassut se l’affluenza scendesse sotto «i 50mila» sarebbe un guaio. Sarebbero in molti a parlare di «flop», Marino stesso si intesterebbe la vittoria (ha fatto un appello a non votare a «primarie finte»). Anche per lanciare l’annunciato libro-bomba tratto dai suoi famosi «quadernetti neri» dove annotava i rapporti con il Pd. Il commissario del partito romano e presidente Pd Matteo Orfini ostenta preoccupazione solo per il meteo. Sull’affluenza e sulle rivelazioni di Marino è tranquillo: «Di me al massimo può dire che gli ho chiesto di nominare Marco Rossi Doria assessore alla scuola, cosa che rifarei».
Nel pomeriggio, al terzo piano del Nazareno, la sede del Pd dove si svolge in diretta web e su Radio Radicale il secondo e ultimo confronto fra i sei candidati, il caso Verdini tiene banco. Alle 9 di mattina lo stesso Orfini era corso ai ripari con un tweet: «Se davvero Verdini ha voglia di primarie, convinca la destra a organizzarle. Le nostre sono off limits per chi non è di centrosinistra». Ma sono indimenticabili le parole di Matteo Renzi su «chi fa lo schifiltoso con i voti perde le elezioni», del resto era meno di un mese fa. Roberto Speranza, capofila della minoranza interna, attacca: «Il presidente del Pd giustamente stoppa Verdini che vuol partecipare alle nostre primarie. Benvenuto tra i gufi». Il candidato Morassut ovviamente sfrutta l’assist, quella che il generale definisce «una turbativa d’asta»: «A Giachetti chiedo: ma Verdini fa parte della coalizione? Per quanto mi riguarda, Verdini ha detto che non mi voterebbe, e comunque io una lista civica sua non la voglio».
Il confronto procede con qualche eccesso «di fair play», come ammette perfino il sito dell’Unità. I due Roberti in corsa per la vittoria sono troppo preoccupati anche per sorridere davanti alle telecamere della casa. Chi vincerà poi dovrà cimentarsi nella sfida per la Capitale, la più difficile delle amministrative 2016. Dovrà tentare di ricucire a sinistra, dove Stefano Fassina corre in salita e fra le polemiche: l’ultima, sanguinosa, ieri l’ha aperta lui stesso contro la partenità tramite surrogacy di Nichi Vendola.
Comunque vadano le primarie al Nazareno la strategia è chiara ed è sul ’modello Milano’. Se Sel-Sì non accetterà di rientrare in coalizione il Pd farà una lista arancione in appoggio del candidato sindaco, capeggiata da un nome accattivante, sul genere di Francesca Balzani a Milano. I dettagli dell’operazione dipenderanno però da chi vince le primarie. Perché questa è un’altra delle non molte cose su cui i due Roberti sono divisi. Morassut è sicuro di avere le carte per riaprire il dialogo a sinistra: «Bisogna mettersi a tavolino per ricostruire una alleanza larga con Sel e Si, con la società civile per ricominciare a discutere sulle fragilità della città e della persone, i più anziani e i disabili. Non posso più vedere la sinistra divisa. Una divisione consegnerebbe la città al M5S». Giachetti la pensa diversamente: «Io teso molte mani ma ho ricevuto molti insulti da sinistra. Non importa quello che decideranno i gruppi dirigenti, io mi rivolgerò ai cittadini di sinistra. Saranno loro a scegliere chi votare».