il manifesto 31.3.16
La marcia dei referendum “sociali”, scuola e ambiente
di Corrado Oddi
Nel fine settimana del 9-10 aprile inizia la raccolta delle firme per i referendum “sociali”.
Uso
le virgolette in due sensi. Poiché la Cgil ha deciso di promuovere
alcuni quesiti referendari contro il Jobs Act e la legislazione del
lavoro in un proprio percorso autonomo, i referendum e la raccolta firme
cui faccio riferimento non coprono l’intero arco delle questioni
sociali aperte nel Paese, ma investono tre grandi temi: la scuola e la
sua centralità nell’intervento del pubblico, la salvaguardia
dell’ambiente e una strategia energetica che guarda al futuro, i beni
comuni, a partire dall’acqua, quello più paradigmatico.
Raccoglieremo
firme contro la “cattiva” scuola del governo con quattro quesiti
referendari ( poteri del dirigente scolastico, comitato di valutazione
del merito, school bonus e alternanza scuola-lavoro), a cui se ne
aggiungono due, uno per impedire il ricorso a future trivellazioni
petrolifere sia in terra che in mare (anche oltre le 12 miglia) e
l’altro contro il piano nazionale inceneritori previsto dallo Sblocca
Italia. Inoltre, vista l’impossibilità, allo stato attuale, di
promuovere un’iniziativa referendaria in tema di acqua e beni comuni,
affiancheremo all’iniziativa referendaria anche una raccolta di firme su
una petizione contro gli scandalosi decreti attuativi Madia sui servizi
pubblici e le partecipate, per sostenere la versione originale della
legge per la ripubblicizzazione del servizio idrico e per inserire il
diritto all’acqua nella Carta costituzionale.
E parliamo di
referendum “sociali” perché queste iniziative sono promosse
congiuntamente dal movimento per la scuola pubblica, da quello per
l’acqua, da quello contro le devastazioni ambientali e le trivellazioni e
da quello contro il piano nazionale inceneritori. Connessioni reali tra
movimenti e soggetti sociali, provando ad invertire una tendenza alla
frammentazione della società e della politica, che è andata molto avanti
in questi anni, un fattore certamente non secondario rispetto alla
tenuta del governo Renzi, che fa della corporativizzazione sociale uno
dei suoi punti di forza. Al momento del voto, nella primavera del 2017,
diventerà ancora più evidente come i temi della scuola pubblica, del
lavoro, dei beni comuni e dell’ambiente parlano di un modello sociale
alternativo, di un’altra qualità della democrazia.
La stagione dei
referendum sociali, oltre ad attaccare le linee di fondo delle
politiche economiche e sociali del governo, acquista un significato
importante anche rispetto alla scadenza del referendum confermativo sul
tema della controriforma istituzionale. Quell’appuntamento, che il
presidente del consiglio intende come un plebiscito sulla sua persona,
legherà battaglia costituzionale e diritti sociali, idea della
democrazia e contenuti di fondo delle scelte di politica economica e
sociale. Emergerà che la concentrazione delle decisioni nel potere
esecutivo e la riduzione del Parlamento ad un ruolo residuale sono
organici e funzionali alla compressione dei diritti dei lavoratori, per
ridimensionare lo stato sociale, privatizzare i beni comuni, aggredire
l’ambiente. Sottolinearlo sarà molto più efficace e diretto rispetto a
una discussione semplicemente di architettura istituzionale ed
elettorale, cosa peraltro anch’essa necessaria.
La raccolta delle
firme per i referendum sociali può servire anche a rafforzare
l’iniziativa per informare e aiutare la partecipazione al voto
dell’importante voto del 17 aprile. Fermare tutte le trivellazioni in
mare e in terraferma, può costituire una sorta di staffetta virtuosa con
il pronunciamento popolare sulla durata delle concessioni di quelle in
essere entro le prime 12 miglia marine.
Soprattutto, lanciare ora
la raccolta di firme per i referendum sociali significa attivare una
mobilitazione contraria al messaggio governativo: le persone possono
stare a casa e smettere di agitarsi. Anche se i lavoratori scioperano e
manifestano contro il Jobs Act, si rassegnino, perché tanto si va
avanti; gli insegnanti possono protestare, ma poi rifluiranno e si
faranno una ragione dell’approvazione della “cattiva” scuola, dal giorno
dopo la ratifica in Parlamento con il voto di fiducia. Fino a lasciar
intendere un’interpretazione truffaldina dell’esito referendario del
referendum sull’acqua del 2011, che non sarebbe servito a nulla,
cogliendo una parte fondamentale di verità – quella per cui tutti gli
esecutivi si sono ben guardati di procedere ad applicare il significato
politico di quella consultazione, che reclamava la ripubblicizzazione
del servizio idrico-, ma occultando anche che, senza quel pronunciamento
popolare, alla fine del 2011 ci sarebbe stata la privatizzazione totale
e definita dello stesso, partita che invece è ancora aperta.
Del
resto, l’ideologia dell'”uomo solo al comando” richiede che la società
venga spoliticizzata, passivizzata e atomizzata, che le persone
rimangano sole di fronte alla potenza immodificabile del mercato e delle
sue logiche. Anche per questo, raccogliere tante firme e parlare con
moltissime persone per rendere possibili i referendum sociali
rappresenta già un risultato e, invece, un colpo per chi, come questo
governo, prova a fare a meno del consenso e, contemporaneamente, però
teme proprio che le persone tornino a riappropriarsi della volontà di
contare e decidere.
* Forum Italiano Movimenti per l’Acqua