Corriere 31.3.16
La data del voto si trasforma in atto d’accusa a Palazzo Chigi
di Massimo Franco
Prima
serpeggiava il nervosismo perché Palazzo Chigi non si decideva a
fissare la data delle elezioni amministrative. Adesso sta lievitando
perché le opposizioni vedono nella scelta di giugno una subdola manovra
per favorire l’astensionismo. La conferma che il governo è orientato a
far votare per le Amministrative il 5 giugno è arrivata ieri. Il
ministro dell’Interno, Angelino Alfano, fa sapere che proporrà quel
giorno a Matteo Renzi non appena il premier tornerà dagli Stati uniti.
Le opposizioni sostengono che andare alle elezioni alla fine del «ponte»
del 2 giugno sarebbe un indice di paura del governo.
Sfrutterebbe
l’astensionismo per coprire quella che per uno dei candidati a sindaco
della destra a Roma, Giorgia Meloni, si profila come una disfatta. È una
tesi che l’opposizione fa rimbalzare dalla capitale a Milano. Anche il
candidato di Silvio Berlusconi nel capoluogo lombardo, Stefano Parisi,
insiste sull’esigenza di «riportare le persone a votare». E vede nel 5
giugno, giorno finale di un lungo «ponte» per la Festa della Repubblica
del 2 giugno, una sorta di attentato all’affluenza. Si indovina il
tentativo di utilizzare la probabile decisione come ulteriore arma
elettorale contro la maggioranza di Renzi.
Si desume dal modo in
cui il capogruppo di FI alla Camera, Renato Brunetta, inserisce la
scelta del 5 giugno in una sorta di strategia renziana contro la
partecipazione. La destra invoca un decreto che consenta di votare anche
lunedì 6 giugno. E intanto teorizza una coalizione che teme qualunque
manifestazione della volontà popolare. Per questo, a sentire Brunetta,
Renzi avrebbe dato indicazioni al Pd di astenersi nel referendum di metà
aprile sulle trivellazioni; per lo stesso motivo lo avrebbe fatto
coincidere con il voto parlamentare sulle riforme istituzionali. Lo
schema è intuibile: un premier non eletto vede «il voto come un
fastidio».
Sono veleni destinati ad accumularsi e filtrare contro
Palazzo Chigi e il Viminale anche da sinistra. Il Movimento 5 stelle si
limita a dire, a proposito della data delle Amministrative: «Prima è,
meglio è», nelle parole di Alessandro Di Battista. E a questo si
aggiungono le accuse dell’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, del Pd,
che accusa il proprio partito e Renzi di averlo fatto cadere senza un
voto in aula, con una raccolta di firme in uno studio notarile.
L’operazione è insidiosa, e sembra destinata a proiettarsi oltre il voto
di giugno per delegittimare la maggioranza.
Il ragionamento fa
qualche grinza, in realtà. L’astensione colpisce tutte le forze
politiche, in questa fase. E i primi a essere danneggiati da
un’affluenza bassa alle urne sarebbero i partiti di governo, Pd in
testa. Alfano aggiunge pure di ritenere «argomento da ricchi» quello di
una minore partecipazione per via del «ponte». Significherebbe andare
fuori «per cinque giorni», e secondo il ministro dell’Interno, non sono
in molti a poterselo permettere. Ma è difficile che questo basti a
placare le polemiche. Tanto più se riflettono una strategia. Forse, il
vero pericolo è che pochi lascino le città. E, nonostante questo, pochi
vadano ai seggi.