il manifesto 31.3.16
Governo egiziano spaccato tra verità e interessi economici
Egitto.
 Fonti interne al ministero degli Esteri citate da Cairo Portal parlano 
del conflitto tra chi opta per l'assunzione di responsabilità sul caso 
Regeni e chi preferisce far passare la tempesta
di Chiara Cruciati
Silenzio
 su tutta la linea: il governo egiziano non commenta la conferenza 
stampa della famiglia Regeni. Ma dal mondo dell’informazione qualcosa 
trapela: la paura che eventuali sanzioni possano far traballare 
relazioni commerciali consolidate, in un periodo non certo roseo per 
l’economia del Cairo, e la conseguente spaccatura interna al governo tra
 chi opta per l’assunzione di responsabilità e chi preferisce far “passà
 ‘a nuttata”.
Se ieri le prime pagine dei quotidiani egiziani 
erano alle prese con il dirottatore del volo della Egypt Air, quasi 
tutti hanno riportato le parole dei genitori di Giulio. Nessun commento 
ufficiale da parte del governo, ma tutti gli articoli – su Masr 
al-Arabiya, al-Ahram, Egypt Independent, Mada Masr, Daily News Egypt, 
Egyptian Streets – si concentrano sulla presa di posizione di Paola e 
Claudio Regeni: senza risposte serie e trasparenti da parte egiziana, la
 famiglia renderà pubbliche le foto del corpo martoriato di Giulio, con 
su la firma dei torturatori di polizia e servizi segreti. Lo ribadisce 
Imad Al Din Hussein, direttore del quotidiano indipendente Al Shorouk: 
secondo un’autorevole fonte del governo, dietro l’omicidio ci sono i 
servizi segreti egiziani.
Ma c’è chi scrive di più: Cairo Portal, 
agenzia web egiziana, riporta di una spaccatura dentro il governo 
egiziano. Due le alternative: tenere duro e proseguire sulla via dello 
scaricabarile o ammettere in qualche modo le responsabilità del governo 
egiziano. Una svolta, quindi, nel caso Regeni? Il quotidiano cita fonti 
anonime interne al Ministero degli Esteri: «Secondo fonti vicine al 
Ministero, le dichiarazioni del ministro degli Esteri ‘Il caso Regeni è 
un caso isolato’ è forse un preludio al riconoscimento delle 
responsabilità da parte dell’Egitto».
Il commento fa seguito a 
quanto affermato dal ministro Shoukry lunedì durante un’intervista 
all’emittente tv Mbc. In quell’occasione Shoukry ha parlato del 
possibile impatto che l’omicidio del giovane ricercatore italiano e le 
conseguenti falle nelle indagini potrebbero avere sul paese.
«Il 
governo egiziano si trova in grande difficoltà – prosegue Cairo Portal –
 soprattutto dopo che quello italiano si è rifiutato di credere alla 
storia della banda criminale». Da qui la frattura interna all’esecutivo:
 «Altre fonti dicono che c’è una controversia all’interno del governo. 
Una parte riconducibile al Ministero degli Esteri punta sulla necessità 
di risolvere la questione in modo trasparente, anche se questo 
implicherà il riconoscimento delle responsabilità del governo stesso e 
il sacrificio di qualche testa per evitare ingenti perdite economiche e 
politiche. L’altra parte invece ritiene necessario tenere duro fino 
all’ultimo momento, cercare di guadagnare tempo affinché entrino in 
gioco gli interessi economici e coprano l’accaduto. Soprattutto visti i 
rapporti commerciali ed economici che grandi aziende italiane hanno in 
Egitto. Un’ammissione di colpa, dicono, significherebbe pagare un prezzo
 alto e potrebbe essere il pretesto per trascinare in giudizio 
componenti importanti del regime, persino il capo di Stato, in aule dei 
tribunali internazionali».
In ballo c’è tanto, tantissimo, 
rapporti commerciali miliardari che fanno dell’Italia il primo 
esportatore europeo in Egitto: tre miliardi di euro nel 2015, 3.1 
previsti per il 2016. Ci sono i contratti dell’Eni per il giacimento di 
Nooros, sul Delta del Nilo, da 14 miliardi di dollari e quello che 
arriverà per il giacimento sottomarino di Zhor (riserve stimate per 850 
miliardi di metri cubi di gas).
Secondo i dati dell’Autorità 
Generale egiziana per gli Investimenti riportati da Linkiesta, ci sono 
880 aziende italiane operative in Egitto – da Edison al Gruppo 
Caltagirone, dalle compagnie turistiche Alpitour e Valtour alla Pirelli e
 alla Italcementi – che producono un fatturato annuale di 3,5 miliardi 
di euro. C’è un business nel settore militare dal valore di 3.7 milioni 
di euro, secondo la Rete Disarmo.
Reagisce anche il procuratore 
generale Nabil Sadiq che annuncia la creazione di un pool investigativo 
per coordinare le procure coinvolte nelle indagini. È sui social 
network, però, che appaiono gli attacchi più duri al generale: tanti gli
 egiziani che citano le parole di Paola Regeni, che ricordano che Giulio
 è stato ucciso come un egiziano, che attaccano il presidente golpista. I
 genitori del giovane ricercatore hanno rappresentato tutte quelle 
famiglie egiziane che non hanno occasione di dire la loro, di parlare 
dei figli scomparsi o uccisi sotto tortura.
Il portavoce di 
Amnesty International Italia, Riccardo Noury, lo ha ricordato martedì: 
nel 2015 i casi accertati di tortura da parte di polizia e servizi 
segreti sono stati a 1.176, quasi 500 terminati con la morte dei 
prigionieri (dati Centro el-Nadeem). E nel solo mese di febbraio se ne 
calcolano 88, di cui 8 decessi.
Due di loro morirono negli stessi 
giorni in cui Giulio era ostaggio dei suoi aguzzini: «Mohammed Hemdan, 
arrestato il 18 gennaio sul posto di lavoro – scrive Noury sul Fatto 
Quotidiano – e ritrovato morto in un obitorio il 25 gennaio; e Ahmed 
Galal, arrestato il 19 gennaio ad un posto di blocco e ritrovato a sua 
volta morto in un obitorio il 3 febbraio». I loro corpi portavano i 
segni inconfutabili delle torture, ferite da armi da taglio, unghie 
strappate, lividi. Il ministro degli Interni Ghaffar disse che erano 
morti in scontri a fuoco.
 
