il manifesto 2.3.16
Quel vizio d’origine tra Bersani e Renzi
Nel 2013 il Pd firmava il Fiscal compact e il pareggio di bilancio
Oggi per evitare rotture e fusioni a freddo la sinistra deve contraddire quel pensiero economico dominante
di Paolo Favilli
La
tre giorni di Cosmopolitica non è lo sviluppo e tantomeno l’esito di
quel lungo percorso che alla fine del 2015 aveva portato alla stesura
comune di un documento, “Noi ci siamo, lanciamo la sfida”, il quale,
nonostante le debolezze, era davvero unitario e non escludente.
Cosmopolitica,
invece, ha come «vizio di origine» una considerazione meramente tattica
di quel documento, valutato, secondo un atteggiamento politico tipico
di «provincialismo temporale» (il manifesto, 5 gennaio), come scritto
sull’acqua.
Alle origini della «rottura a freddo», così è stata
definita, non casualmente, da esponenti de «L’altra Europa», cioè
dell’unica esperienza davvero inclusiva che ha avuto risultati non
negativi, ci sono motivazioni differenti. Molte hanno a che vedere
proprio con la furbizia connessa a quel «provincialismo temporale» di
cui si è detto e con l’eredità di una lunga vicenda particolarmente
divisiva, apportatrice di velenosi rancori. Altre invece hanno che
vedere con differenze profonde di carattere analitico.
Giustamente
Carlo Galli in una recente intervista (il manifesto 17 febbraio) ha
messo l’accento sull’esigenza di misurarsi con «gigantesche questioni
strutturali», quelle del tutto ignorate da Renzi e dal renzismo
dominante. Ignorate solo dal nuovo padrone del Pd o anche dai dirigenti
che l’hanno preceduto? Questo è il punto.
Le forze promotrici di
Cosmopolitica, cioè Sel e coloro che hanno lasciato il Pd, si sono
davvero misurate, nel tempo, con le «gigantesche questioni strutturali»
che hanno determinato il «momento attuale»?
Eppure la
caratteristica principale del «momento attuale», cioè la forma
neoliberista della nuova fase di accumulazione, non è il frutto della
spontaneità delle «leggi» di mercato. È una forma, tanto di tecniche
economico-finanziarie che di tecniche di governo, costruita, in tempi
non brevi, essenzialmente da volontà politiche.
Tutte le tappe
fondamentali di tale costruzione, in Italia, hanno avuto il contributo
essenziale e convinto del Pds (già dal mutamento di paradigma analitico
del 1992–94) e poi dei Ds ed infine del Pd. Renzi, «variante della
commedia all’italiana…espressione di un comitato d’affari della
borghesia toscana» (Prospero, il manifesto 23 febbraio), non è altro che
la «rivelazione» di questo lungo processo. Al di fuori di
quell’itinerario non è spiegabile la sua (ir)resistibile ascesa.
Ora
nel 2013, quando tutte le forze che oggi sono presenti in Sinistra
Italiana e promotrici di Cosmopolitica concordavano sulla Carta
d’intenti del Patto dei democratici e dei progressisti presentata da
Bersani come piattaforma politica per l’alleanza elettorale, che fine
avevano fatto i pensieri sull’insieme problematico fondamentale indicato
da Carlo Galli?
Non è elegante dire l’avevo detto, ma lo dico.
Così scrivevo allora: «Se leggiamo la Carta d’intenti del Patto dei
democratici e dei progressisti troviamo la conferma immediata di quali
siano le forze «rassegnate a gestire depressi orizzonti». E non per il
carattere volutamente «realistico» e «moderato del testo» (realismo e
moderazione fanno parte della necessità politica), bensì perché
l’impianto analitico sotteso al documento è l’esatto rovescio di
qualsivoglia presupposto culturale che mantenga anche un timido legame
con l’economia critica» (il manifesto, 18 gennaio 2013). Cioè con il
pensare in termini di «grandiose questioni strutturali».
Non c’è
niente di dottrinario nel ricercare una relazione (naturalmente con
tutte le mediazioni opportune) tra il modo di pensare il rapporto
economia-società e le scelte di politica economica. Senza una
sostanziale condivisione dei punti cardine del pensiero economico
dominante non sarebbero state possibili scelte tanto fondanti e tanto
dirimenti come la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio e
l’accettazione del fiscal compact. Scelte tutte compiute prima delle
elezioni del 2013.
Nessuna volontà di recriminazione nel ricordare
un dato di fatto che ci fornisce elementi rilevanti per comprendere
meglio ragioni non secondarie di una «rottura a freddo» e, dunque, dei
«vizi d’origine» della pur importante iniziativa di Cosmopolitica.
Dobbiamo
chiederci se sia possibile che l’esperienza del renzismo abbia potuto
produrre in meno di due anni un rovesciamento degli strumenti di analisi
sorrettivi della Carta d’intenti… È indubbio che la chiarezza della
scelta di campo di Renzi abbia prodotto ripensamenti anche radicali, ma
molto spesso limitati alla sfera del posizionamento politico. Magari,
per alcuni, nella speranza che abbia a passare la nottata e spunti
l’aurora di una nuova Carta… per un nuovo centrosinistra. Elementi che
sono tutti presenti nel «vizio di origine» di cui si sta ragionando.
La
tre giorni di Cosmopolitica, però, è stata una realtà molti più ricca e
complessa per essere contenuta totalmente all’interno del quadro
determinato da queste origini.
Moltissimi interventi, infatti,
hanno posto davvero «gigantesche questioni strutturali». Per affrontarle
a tutti i livelli, di pensiero e di azione, il quadro dovrà essere
profondamente modificato.
Gli esiti non sono scontati, ma dalla
tensione/contraddizione tra questi due modi di esercizio teorico e
politico può forse determinarsi una costituente davvero inclusiva.