il manifesto 29.3.16
Fidel “non dimentica” e rifiuta la mano tesa di Obama
Cuba. Sul «Granma» le ragioni del lider maximo: «Non abbiamo bisogno che l’impero ci regali nulla»
di Roberto Livi
L'AVANA
Al «fratello Obama» Fidel Castro risponde «non abbiamo bisogno che
l’impero ci regali nulla». Una settimana dopo il discorso pronunciato
dal presidente degli Stati uniti nel Gran Teatro dell’Avana, il lider
maximo della rivoluzione cubana rifiuta la «mano tesa di amicizia»
offerta da Barack Obama se questo comporta dimenticare la storia degli
ultimi cinquant’anni, il bloqueo/embargo nordamericano e varie
aggressioni armate e terroristiche operate dal potente vicino del nord,
sacrificando le conquiste del socialismo cubano per uniformarsi al
capitalismo globale.
«Obama – scrive Fidel in un articolo
pubblicato ieri dal quotidiano del partito comunista, Granma – ha
pronunciato un discorso nel quale ha utilizzato le parole più sciroppose
per esprimere che: ’È ora di dimenticare il passato e che noi guardiamo
al futuro, che lo guardiamo assieme… come amici, come una famiglia,
come vicini… un futuro di speranza’. Si suppone – continua il più
vecchio dei Castro – che ognuno di noi corra il rischio di un infarto
ascoltando queste parole del presidente degli Stati uniti. Dopo uno
spietato bloqueo che è durato quasi 60 anni. E (come dimenticare) quelli
che sono morti in attacchi mercenari a navi e porti cubani? E un aereo
di linea (cubano) pieno di passeggeri fatto saltare in volo? E le
invasioni mercenarie, i molteplici atti di violenza e di forza?»
«Nessuno
si faccia illusioni che il popolo di questo nobile e generoso paese
rinunci alla gloria, ai diritti e alla ricchezza spirituale che ha
guadagnato con lo sviluppo dell’educazione, della scienza e della
cultura», mette in chiaro Fidel che avverte: «Siamo capaci di produrre
gli alimenti, le ricchezze materiali di cui abbiamo bisogno con lo
sforzo e l’intelligenza del nostro popolo. Non abbiamo bisogno che
l’impero ci regali nulla». «I nostri sforzi – conclude – saranno legali e
pacifici, perché è il nostro impegno con la pace e la fratellanza di
tutti gli esseri umani che viviamo in questo pianeta».
Nel suo
articolo, e usando citazioni di José Martí, Antonio Maceo e Bonifacio
Byrne, Castro critica le similitudini tra la storia di Cuba e quella
degli Usa segnalate da Obama («Entrambi viviamo in un nuovo mondo
colonizzato dagli europei… Cuba come gli Stati uniti fu costruita dagli
schiavi tratti dall’Africa») precisando che «le popolazioni native non
esistono per nulla nella mente di Obama» e che «la discriminazione
razziale fu cancellata dalla Rivoluzione, la pensione e il salario
(uguali) per tutti furono decretati da quest’ultima prima che il signor
Obama compisse i 10 anni». Fidel riprende e sviluppa l’argomento di base
con cui altri leader indipendentisti e rivoluzionari, come Nelson
Mandela (citato nell’articolo) e l’ayatollah Khomeini risposero alle
offerte di riconciliazione che venivano dai potenti avversari: «Di
fronte alla scelta tra il pane e la dignità, sceglieremo sempre la
seconda», ebbe a scrivere il leader iraniano.
Il tono e le
argomentazioni espresse da Obama nel suo discorso rivolto «alla società
civile» di Cuba hanno indubbiamente impressionato e fatto presa su una
parte (i più giovani) della popolazione. Da qui, il fuoco di sbarramento
del governo. L’articolo del più vecchio (in agosto compirà 90 anni) dei
Castro segue, infatti, una serie di altri scritti pubblicati sui due
quotidiani del Pc, Granma e Juventud rebelde, da vari intellettuali
cubani che, subito dopo la partenza di Obama dall’isola hanno espresso
la posizione di Fidel, ovvero che non si può «voltare pagina» e mettere
in cantina le conquiste (e il futuro) del socialismo cubano, solo perché
lo richiede il capo della Casa bianca. Una tesi simile è stata al
centro dell’omelia nella messa del venerdì santo pronunciata
dall’arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega. Il quale ha affermato che la
riconciliazione nazionale (tra cubani dell’isola e della «diaspora»),
così come tra Cuba e Usa deve fondarsi «sul perdono» e non dimenticando
la storia. «Tra i paesi e tra di noi è necessario il perdono – ha
sostenuto il cardinale. Perché? Perché la storia non si dimentica
facilmente, ci sono offese che non si dimenticano».